Una crisi istituzionale che interroga
Analisi della travagliata situazione politica di questi giorni. Necessita nel Governo e nell'opposizione un contegno ispirato al bene del Paese. Il Parlamento torni ad essere espressione dei cittadini
Il fatto politico avvenuto il 29 luglio (il documento approvato dalla direzione del Pdl, con cui si sancisce la “incompatibilità” delle posizioni del Presidente Fini e dei suoi) e il 30 luglio (la formazione di un gruppo parlamentare dalla costola stessa del Pdl, sia alla Camera che al Senato) configura una crisi profondissima, con rilevanti e preoccupanti profili istituzionali. Di punto in bianco, un governo che sembrava avere in mano l’intero Parlamento si ritrova a fare i conti con una maggioranza traballante. Peggio, si ritrova dipendente dai voti del neo-gruppo di ex pdiellini, che tutto promettono tranne che il sostegno acritico alle iniziative del governo (le dichiarazioni di Gianfranco Fini in conferenza stampa non potevano essere più esplicite, anche su questo punto).
Il momento di debolezza del governo configura un momento di debolezza senza precedenti anche per il premier, che deve tentare di irrobustire il sostegno al governo: ed ecco che si parla di “campagna acquisti”, si scrutano i comportamenti in Aula (l’Api di Rutelli che al Senato ha votato a favore della riforma universitaria, ad esempio, prelude a qualcosa?), si guarda all’Udc come possibile alleato. Ma non è detto che riuscirà.
Cosa accadrà, quindi? Berlusconi avrebbe tutti i vantaggi (e presumibilmente l’intenzione) di tornare al voto, chiedendo nuova fiducia al Paese, con ragionevole certezza di ottenerla, in coalizione con la Lega Nord. Quest’ultima, però, ha un interesse opposto: andare a votare senza aver raggiunto lo scopo della Legislatura, il federalismo – almeno – fiscale, in più vanificando il lavoro fatto sin qui (la delega decadrebbe durante le operazioni di voto), la costringerebbe a presentarsi agli elettori in condizioni di grande debolezza. E infatti Bossi non ha mancato di rifilare un muto, ma chiarissimo insulto a quanti oggi gli hanno parlato di elezioni anticipate.
Eppure, nelle condizioni date, il Governo stenterà a stare in piedi.
In presenza di una crisi, che non sarà comunque immediata, il Capo dello Stato, prima di procedere allo scioglimento delle Camere, deve avviare le consultazioni di prassi per verificare l’esistenza di una possibile maggioranza intorno ad un altro Governo. La posizione della Lega, in questo caso, sarebbe importantissima, anche se non determinante, almeno teoricamente. Infatti, se i gruppi parlamentari (magari Lega inclusa) che si pronunciassero contro lo scioglimento radunassero una maggioranza di deputati e di senatori, il Capo dello Stato avrebbe lo spazio per conferire un mandato (magari anche solo esplorativo) ad una personalità attorno alla quale si potrebbe coagulare il consenso della maggioranza parlamentare. Per questa ragione, potrebbe anche non trattarsi di una personalità politica o istituzionale: è possibile che si prospetti di nuovo il ricorso ad un governo “tecnico”.
Comprensibilmente, qualunque ipotesi di governo alternativo produce il raccapriccio degli elettori del Pdl che la subiscono come un “ribaltone”, uno scippo agli elettori della loro volontà, ed un regalo all’opposizione.
C’è senz’altro del vero in questa lettura. Tuttavia, bisogna ricordarsi che il nostro è un sistema parlamentare, non plebiscitario, dove è possibile che si verifichino, di fronte a situazioni eccezionali, evoluzioni del quadro politico, tali da sfociare in una maggioranza parlamentare diversa da quella uscita dalle urne. In questo momento ricorre una situazione eccezionale.
Oltre alla crisi economica, che necessita il presidio di un governo efficiente, c’è un motivo politico di rilevanza davvero eccezionale: la necessità di cambiare la legge elettorale. Bisogna in ogni modo cercare di modificare le regole attuali per eleggere Camera e Senato, altrimenti si rischia di incappare di nuovo in una situazione incerta. E poi è l’ora di ricostruire un Parlamento legato ai cittadini, composto da rappresentanti che tornino a rispondere del loro operato agli elettori e non ai referenti di partito.
Ma, al di là di ogni ipotesi, è fondamentale che il Paese si mantenga unito e che le vicende politiche non soffino sul fuoco delle contese sociali. È responsabilità precisa dei leader politici e di tutti i partiti dimostrare un contegno ispirato al bene dal Paese, fuori da qualunque logica di vantaggio particolare.