Una crisi che non dà tregua

Il governo del presidente Michel Temer dà l’immagine di una solidità che in realtà non possiede. Appare il fantasma di una possibile destituzione, mentre gli scandali per corruzione si susseguono coinvolgendo sia lui che il suo partito.

Seguendo una ricetta tipicamente neoliberista di controllo macroeconomico, il governo del presidente brasiliano Michel Temer ce l’ha fatta, questa settimana, a fare approvare un drastico congelamento della spesa pubblica durante (nientemeno) i prossimi 20 anni.  Il provvedimento é stato passato in Senato come emendamento costituzionale.  Erano necessari 49 voti, ma in Senato se ne sono ottenuti 53, appena 16 i voti contrari, la gran parte di membri del partito della destituita ex presidente Dilma Rousseff, il PT.

 

L’obiettivo è quello di mettere freno a una spesa pubblica fuori controllo, possibilmente poco efficiente, che in questi anni è cresciuta a un ritmo accellerato. Si direbbe dunque che questo governo naviga a gonfie vele in acque sicure, con l’appoggio di una maggioranza solida che sa prendere le decisioni corrette per affrontare la piú severa recessione degli ultimi decenni.

 

Ebbene, tale immagine contrasta con la realtà: perché quando si analizza la situazione piú in profondità appaiono incongruenze serie. Prima di tutto, c’è da chiedersi come sia possibile proiettare una spesa pubblica in modo quantitativo durante un periodo così lungo e in un Paese dove l’emergenza sociale non è stata certo superata. Una cosa é razionalizzare la spesa, altra cosa è limitarla in questo modo. E ciò ci porta a fare una considerazione elementare: l’orientamento economico del governo di Temer, installato dal maggio scorso, va chiaramente contromano con quello degli ultimi governi.

 

Ma il problema è che Temer é stato vice presidente durante gli ultimi due esecutivi, quelli condotti dalla Rousseff, e partecipò di altrettante campagne elettorali difendendo un criterio di gestione diametralmente opposto all’attuale. Dunque pare proprio difficile sostenere che non abbia avuto qualche responsabilità nella tanto criticata espansione della spesa pubblica. Ammenoché la sua strategia sia dettata da un opportunismo che ora lo ha posto tra le leve di potere. Il che deve suscitare qualche preoccupazione.

 

Il Brasile annaspa tra i vortici di una acuta recessione, una crisi istituzionale che ha interrotto un mandato presidenziale, mentre scoppiano scandali di vaste proporzioni in merito a fondi illegali e bustarelle che gettano un ombra gigantesca sull’onestà di gran parte della classe politica. Ad agosto Rousseff è stata destituita non per corruzione, ma per il maquillage di conti pubblici (in realtà, un peccato commesso da tutti i governi che l’hanno preceduta). Non é stata né appaiono indizi che la collegano con casi di corruzione.

 

Le accuse e gli arresti che invece bersagliano praticamente ogni giorno il presidente Temer, il suo governo e sul suo partito (il PMDB) sono invece di tutt’altro tenore. Se è pur vero che parte della cupola del PT di Lula e Rousseff è sotto processo o in carcere per far parte della trama di fondi illegali, il PMDB è in testa al ranking giudiziario. A cominciare dall’ex presidente della Camera, Eduardo Cunha, ora sotto arresto, sorpreso con le mani nel sacco: 5 milioni di dollari in conti all’estero.

 

La settimana scorsa si è salvato, per il momento, il presidente del Senato, Renan Calheiros, accusato di ottenere fondi illegali e bustarelle per le sue scappatelle extraconiugali. E’ sotto processo ed  il Tribunale Supremo lo ha cassato dalla linea di successione del presidente Temer. Dalla nascita del governo, a maggio, ben sei ministri hanno dovuto dimettirsi invischiati con lo scandalo Petrobras o per casi di corruzione. Questa settimana, il principale consigliere di Temer si è dimesso dopo che sono filtrate le confessioni di un gruppo di imprenditori, condannati a vari anni di carcere per aver finanziato illegalmente partiti politici, che ha deciso di collaborare con la giustizia.

 

Lo scandalo va ben oltre il consigliere che praticamente fece da cassiere: gli imprenditori sostengono che Temer in persona chiese alla compagnia edilizia Odebrecht 3 milioni di dollari per la campagna elettorale del 2014, dalla quale ottenne un secondo mandato come vicepresidente.

 

Le confessioni sono particolarmente gravi, oltre che sul piano penale e morale, anche sul piano istituzionale e per due ragioni: la prima è che se saranno considerati provati i fatti, la giustizia elettorale potrebbe annullare le ultime elezioni, il che significa mettere fine al suo mandato presidenziale. Per il Brasile si aprirebbe una nuovo capitolo critico. La seconda ragione è che si confermerebbe che la destituzione di Rousseff ha avuto come principale obiettivo arrivare alla stanza dei bottoni per mettere un freno alle scomodissime indagini della magistratura.

 

Lo scandalo che sorvola il sistema dei partiti e impatta duramente sul PMDB, insieme alla drastica riduzione della spesa pubblica, spiega la scarsa popolaritá di Temer, prossima al 14% nei sondaggi e in discesa.

 

Ma l’aspetto piú inquietante è che se l’economia non fosse entrata in recessione, la spesa elefantiaca e inefficiente e la rete di corruzione sarebbe andata avanti lo stesso, logorando l’azione di governo sulla base di alleanze di convenienza (o di connivenza). E’, a mio avviso, il nodo del problema che la società brasiliana osserva con certa chiarezza, che la giustizia cerca di risolvere con gli strumenti nelle sue mani, ma che la classe politica non riesce a cogliere in tutta la sua profondità.

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons