Una comunità dialogante
Mons. Mariano Crociata è il nuovo segretario generale della Conferenza episcopale italiana. Subentra a mons. Giuseppe Betori, in quell’incarico per sette anni e ora prossimo a guidare la diocesi di Firenze. Con la designazione di mons. Crociata si completa il cambiamento al vertice della Chiesa in Italia. Ma chi è mons. Crociata? Nominato vescovo di Noto appena un anno fa, il suo nome, fino al 2007, non compariva sull’annuario della Cei. Siciliano, cinquantacinque anni, a dispetto del suo cognome è un esperto nel dialogo con l’Islam e come tale ha diretto a Palermo il dipartimento di teologia delle religioni. Fin qui, alcune voci del curriculum. La prima indiscrezione su di lui la rivela l’agenzia Ansa pochi minuti dopo la sua nomina: il suo nome è una scelta personale del neo presidente Cei, card. Angelo Bagnasco. Lo raggiungiamo al telefono, nel modo più semplice possibile. E cioè facendo il centralino del vescovado. Cinque minuti dopo, mons. Crociata è dall’altra parte del filo. Riceve in diretta una telefonata di auguri. Eccellenza quante ne ha ricevu – te, di telefonate, in questi giorni? Non ci crederà – risponde quasi imbarazzato – ma ne ho ricevute un centinaio. Con quale stato d’animo inizia questa nuova avventura? Con sorpresa. Anche perché questo incarico era totalmente fuori dai miei orizzonti immaginabili (e mi creda, non erano molti). E poi con la convinzione che è una chiamata precisa della Chiesa, che accolgo con una risposta di obbedienza. Mi dispongo ad accettarla così. Con lo spirito di chi è chiamato a prestare un lavoro. Non ha avuto timore? La sorpresa è stata forte ed ha portato anche una grande preoccupazione, vinta però subito dal fatto che chi me lo chiedeva, mi confermava la sua fiducia. So poi che andrò ad inserirmi in un lavoro già portato avanti. Che stile vorrebbe portare alla Conferenza episcopale italiana? Descrivendomi (alla luce di quello che gli altri colgono di me), sono una persona che ha uno stile fondato su rapporti personali molto diretti, che favorisce la circolazione delle relazioni e delle collaborazioni. Quali priorità darà al suo lavoro? Sono quelle che la Conferenza episcopale ha elaborato e proposto lungo un cammino di riflessione nel quale mi inserisco. Quali sono? Potrei dirle molto cose. Mi soffermo su due. La prima è l’attenzio – ne pastorale dei vescovi ad accompagnare questa Italia che cambia con un annuncio che tenga vivo il patrimonio di fede del popolo. Si avverte la necessità di accogliere questa società in evoluzione, perché il messaggio cristiano riesca ancora a parlare a tutti, a raggiungere la gente laddove vive. Con tutti i problemi che ci sono dentro: le nuove generazioni e il compito educativo, i problemi della pluriculturalità, dell’immigrazione, della povertà, e di una società in cui le difficoltà economiche sono sempre di più e sempre più grandi. La seconda sfida è l’attenzione ad un cambiamento di mentalità che tocca l’identità antropologica dell’uomo, e quindi il senso della vita e della dignità della persona umana. Lei è un esperto di teologia delle religioni. Che patrimonio pensa di portare a Roma su questo fronte? Viviamo in una società di pluralismo religioso, per cui risulta importante fare attenzione a questa pluralità. Che significa poi comprendere l’altro nell’orizzonte della sua fede, con enorme rispetto e a partire dalla fede che abbiamo e dalla missione di annuncio che ci è proprio. Si tratta quindi di intrecciare conoscenza dell’altro e conoscenza di noi stessi, capacità di dialogo senza perdere nulla di ciò che siamo. Cosa si augura per sé stesso e per la Chiesa in Italia? Mi auguro di risultare utile. Alla Chiesa auguro che il suo annuncio sia capito da tutti e raggiunga tutti con la stessa delicatezza che Cristo ha sempre avuto, volendo solo il bene per gli altri.