Una coalizione mondiale per il lavoro
La bozza del piano di azione sul lavoro (“job act”) elaborata dallo staff del neosegretario del Pd, Matteo Renzi, sta già suscitando un vivace dibattito in attesa di gennaio e delle prossime elezioni europee, ma già da fine novembre 2013 il Movimento politico per l’unità in Italia (Mppu), con il suo presidente Silvio Minnetti, ha avviato un laboratorio parlamentare di ascolto sulla questione lavoro.
I laboratori dell'Mppu sono «un luogo aperto dove poter esercitare un dialogo esigente sui temi attuali dell'agenda politica a partire dalla differenza di analisi e di soluzioni possibili». Uno spazio disponibile per credenti, non credenti, laici, cattolici, deputati e senatori di ogni schieramento, così come per gli esponenti della «società civile responsabile».
Il tema del lavoro è ineludibile e il Movimento politico per l'unità «propone la fraternità in politica come una categoria da declinare laicamente dentro le questioni complesse e laceranti della convivenza civile» e, in tal senso, «affronta il grande conflitto dell'età moderna tra libertà e uguaglianza che segna, alla radice, le scelte fondamentali di ogni percorso culturale e politico».
Sulle domande al centro del laboratorio abbiamo ricevuto alcune risposte da parte di Gianni Bottalico, presidente nazionale delle Acli (Associazioni cristiane dei lavorati italiani).
Un dubbio prima ancora che una domanda sul ruolo della politica: le leggi possono davvero incidere davanti a uno scenario globalizzato che vede il predominio del potere finanziario?
«Dobbiamo iniziare da qualche parte a riformare un sistema economico-finanziario-giuridico-istituzionale-militare-mediatico che pare ricalcato sui desideri e sugli interessi di quella classe di super-ricchi che si illude di poter comandare il mondo a prescindere e al di sopra degli Stati e di tutto».
Cosa proponete per iniziare questa riforma?
«Come Acli, abbiamo provato a partire da un tema, quello della povertà, sul quale si è costruita un'alleanza di significative realtà sociali, sindacali, istituzionali, non per chiedere l'elemosina per i poveri, ma per affermare che dalla crisi si esce anche attraverso interventi per quell'otto per cento della popolazione che versa in una condizione di povertà assoluta. Si tratta ora di sostenere e ampliare questo cartello di forze contro la povertà per una ragione etica ma anche per una ragione economica e sociale».
Come mai ci troviamo davanti a una tale emergenza? Quale analisi si può dare sulle cause della crisi attuale?
«Ad esempio, l'esperimento che si sta facendo nell'Eurozona di tenere insieme stabilità monetaria e un'economia orientata alle esportazioni sta producendo dei danni enormi sulla struttura sociale europea e ha generato una deflazione che impedisce la ripresa. Assistiamo nel contempo all'inasprimento della pressione fiscale e alla perdita del potere d'acquisto dei salari quando non addirittura al loro abbassamento».
Con quali conseguenze per il nostro Paese?
«In Italia è iniziato un processo di erosione della ricchezza delle famiglie che attingono fin che possono dai loro risparmi e dai loro beni per compensare i minori redditi da lavoro e pensioni, per far studiare i figli, per curarsi. E questo è un macigno posto sulla ripresa della domanda interna. La politica di austerità ha ottenuto l'esatto opposto di quanto si proponeva: anziché risanare i bilanci li ha resi peggiori. Il nostro rapporto debito/pil è salito al 130 per cento dopo il governo Monti».
Sembra già di sentire l’obiezione: allora dobbiamo buttare via tutto il percorso avviato di una politica della responsabilità?
«Niente affatto, ma questo percorso o diventa la base per convincere l'Europa (la Germania) a sganciarsi dal rigore oppure non approda ad alcun risultato. Del resto è quanto va dicendo lo stesso Enrico Letta, che bisogna esercitare una forte pressione sui tedeschi per una diversa idea di politica economica e monetaria dell'Europa, e che la prossima legislatura del Parlamento europeo dovrà porre al centro il lavoro e lo sviluppo e non l'austerità, proprio così come fanno i nostri concorrenti asiatici e americani».
Ma così non chiedete un radicale cambio di prospettiva?
«Se si vuole difendere efficacemente il lavoro in Italia, creare delle prospettive per i giovani, bisogna affermare la necessità di sostenere una cultura della dignità del lavoro che non può avere confini e contribuire alla costruzione di quella grande “coalizione mondiale per il lavoro decente” indicata sin dal Giubileo dei lavoratori del Duemila e rilanciata nell'enciclica Caritas in veritate. Il vero obiettivo è quello di contribuire a cambiare il verso della competizione globale».
Un progetto radicale di cambiamento.
«Credo che occorra partire da un impegno per un cambio di paradigma culturale, per passare da quella che papa Francesco ha definito l'idolatria del profitto a una concezione che riconosca la dignità della persona umana. Dobbiamo allora saperci domandare in che misura i mutamenti che si sono avuti nel mondo del lavoro e dell'economia siano avvenuti nel segno della fraternità piuttosto che nel segno dell'avidità. In un mondo condizionato dall’avidità e dalla tirannia del profitto, che dà a pochi l'illusione del dominio e che crea crescenti disuguaglianze fra i ceti sociali, e nuove povertà, vi è l’esigenza di parlare di giustizia, di rispetto della persona, di diritti sociali universali per i lavoratori, di lavoro dignitoso».