Una civiltà da ripensare
Il Coronavirus ci ha confinato in casa per molto tempo, da soli o in compagnia limitata. Tanti hanno sofferto di ansia e depressione. Allo stesso tempo, abbiamo scoperto la potenza, la necessità e la comodità di essere collegati per via telematica, un modo di relazionarci che non abbandoneremo più. Ma c’è anche un altro aspetto: queste settimane sono state occasione per pensare, leggere, fare bilanci, rimettere a fuoco le priorità, lavorare da soli, in silenzio, senza l’assillo di riunioni o interruzioni, tipiche del lavoro in ufficio.
Ma pensare e lavorare da soli è un vantaggio? Secondo la moda corrente – quella basata su open space, brain storming, presentazioni power point, conferenze telefoniche, condivisione obbligata di gruppo –, no. Negli ultimi anni, però, si è aperta una discussione su questo punto.
Creatività
Prima di tutto, sembra che la creatività non sia una caratteristica del gruppo, ma del lavoro personale, indisturbato, in silenzio. Le persone dotate di inventiva e capaci di percorrere sentieri nuovi, hanno bisogno di tempo per riflettere, da soli, prima di confrontarsi. Anche perché spesso il gruppo è un ostacolo, in quanto ognuno tende ad adeguarsi alla mediocrità prevalente, all’opinione della maggioranza, al già conosciuto, stroncando sul nascere le idee innovative. Andare controcorrente è faticoso, per cui il creativo spesso rinuncia, evitando il “dolore dell’indipendenza”.
Banalità
Nell’era della globalizzazione, le aziende si sono accorte che più grande è il gruppo, meno brillanti sono le idee. Il gruppo, infatti, è monopolizzato da pochi personaggi, “quelli che parlano sempre” ripetendo magari banalità, pur di mettersi in mostra. C’è un meccanismo psicologico involontario per cui chi parla di più, chi si impone all’attenzione, chi si mostra sicuro di sé, è percepito (erratamente) come più competente. Invece spesso sono i riservati, gli introversi, i “pensatori silenziosi” quelli che hanno le idee migliori. E siccome in ufficio non hanno spazio, elaborano le intuizioni a casa, magari mentre ascoltano musica, o si fanno la barba, o passeggiano da soli nel parco.
Gerarchia
C’è un’altra caratteristica da tenere presente: il gruppo è più radicale del singolo, può estremizzarsi, mettendosi in competizione con altri gruppi. E chi si sente a disagio per questo, magari non parla, preferisce adeguarsi alla pressione della maggioranza e del capo. I gruppi e le organizzazioni gerarchiche e con forte autorità, infatti, tendono a favorire l’obbedienza passiva, tacitando le coscienze e l’intelligenza. In questo campo, però, le cose stanno cambiando. Si diffondono modelli organizzativi decentrati, basati su «forme di decisione diffusa, dove il consenso e l’autorità derivano dalla propria competenza e capacità di influenzare, piuttosto che essere conferiti dall’alto. In questi modelli […] i centri decisionali si diffondono e nascono spontaneamente a livello periferico, cioè lì dove devono essere per risolvere con esattezza i problemi: dove le informazioni sono maggiormente disponibili e le necessità chiare» (Stefano Mancuso, La nazione delle piante, Laterza 2019). La discussione su come bilanciare singolo e gruppo, solitudine e vita di comunità, era dunque in pieno sviluppo, finché…
Civiltà
A inizio 2020 il coronavirus ha sparigliato le carte. In poche settimane siamo cambiati, diventando più fragili davanti a un nemico invisibile. Quando ci avviciniamo a un’altra persona, c’è sempre il sottile timore di essere contagiati. Abbiamo voglia di riassaporare rapporti umani faccia a faccia, con abbracci e sorrisi tipici del calore mediterraneo. Ma… non siamo spontanei. Forse non torneremo mai alla vita e ai rapporti di prima.
Il virus ci spinge a chiuderci, a vivere nell’angoscia, magari cercando l’uomo forte che decida per noi e lo Stato che, con la scusa della sicurezza, sorvegli ogni nostra mossa. Oppure possiamo rischiare, puntando su apertura e fiducia, pur con le giuste norme di sicurezza. Ma saremo capaci di scommettere ancora sull’altro, sulla comunità, sulla democrazia, inventando nuove forme di partecipazione e convivenza? A breve dovremo decidere se restaurare il sistema economico e sociale di prima della pandemia (responsabile di disuguaglianze e inquinamento), oppure cercare nuove strade che garantiscano equità sociale e rispetto dell’ambiente.
Sicuramente serviranno persone dotate di flessibilità, pazienza, generosità, inventiva e coraggio, che aiutino a diffondere rapporti e stili di vita positivi. Persone che hanno capito che tutta la famiglia umana, insieme col pianeta, ha un unico destino, in comune. C’è un’intera civiltà da ripensare.