Una Chiesa per tutti

Per la seconda volta quest'anno un vescovo cinese ottiene l'approvazione per la sua ordinazione sia dalla Chiesa cattolica che dal governo del suo Paese.
cina

L’ha vissuta in prima persona per un caso fortuito della vita o più semplicemente per un viaggio fatto due mesi fa nel suo Paese di origine. Joseph Liu, cattolico cinese di Canton, che oggi vive vicino a Roma, si è ritrovato testimone di un delicato processo di dialogo che ha poi portato mercoledì 25 aprile all’ordinazione di un nuovo vescovo cattolico, P. Timothy Metodio Qu Ailin, della diocesi di Changsha (Hunan), approvato sia dalla Santa Sede, sia dal governo cinese.

È la seconda volta quest’anno che un vescovo cinese ottiene la doppia approvazione ed è un fatto molto importante vista la complessità dei rapporti che intercorrono tra il Vaticano e la Repubblica cinese.

Capire i retroscena di questa criticità è impresa ardua. Ma occorre almeno ricordare che esistono due frazioni della Chiesa cattolica in Cina: la frazione ufficiale, che accetta la collaborazione con il governo, e la frazione clandestina, che non accetta tale collaborazione. Non avendo rapporto diplomatico, il dialogo non è facile.
In un comunicato diffuso proprio ieri dalla Santa Sede al termine di un incontro della commissione che Benedetto XVI ha istituito nel 2007, è messo in rilievo il ruolo dei movimenti ecclesiali e dei laici e la formazione del clero. Nello stesso tempo, non si nascondono le difficoltà e viene invocata l’importanza della «chiarezza» nella fedeltà e nell’unione con il successore di Pietro.

Per capire meglio la situazione della Chiesa cattolica in Cina e il valore dell’ordinazione del vescovo Qu Ailin, abbiamo raggiunto telefonicamente Joseph Liu.

Che valore ha l’ordinazione di un vescovo approvato dalla Santa Sede e dal governo cinese?

«È la seconda volta quest’anno che viene ordinato un vescovo con l’approvazione parallela della Santa Sede e del governo. È sicuramente un evento felice, sebbene sia stato offuscato dalla presenza, alla cerimonia, di vescovi illegittimi, cioè non riconosciuti dalla Santa Sede.  Rimane pur sempre una gioia per tutti. E lo è per almeno due motivi: la prima è che questi due vescovi sono stati nominati dal papa e la Chiesa di Cina ne è felice. La seconda è che questa ordinazione è un segnale che lo scontro non porta da nessuna parte, sebbene il dialogo sia difficile e provochi dolore in tanti».

Quanto è importante avere un vescovo riconosciuto?

«È di grande importanza, perché siamo cattolici. Naturalmente ogni Paese vive in un contesto con dei limiti e in Cina in questo momento c’è il limite della politica».

Cosa rappresenta in un mondo così lontano il Papa?

«Rappresenta Pietro, il vicario di Gesù. Mi ricordo che quando Giovanni Paolo II è morto, la Cina ha seguito tutto con la tivù ed era per la prima volta. Ero a Pechino ed era commovente l’amore di questo popolo per un papa che ha fatto tanto per il dialogo. Dal 1957 fino al 2004, l’anno della sua morte, non si poteva avere alcuna possibilità di seguirlo. Eppure, quando venne, il card. Etchegaray disse che uno dei posti al mondo dove più si ama il papa è la Cina, ed è un paradosso. Ai funerali di Giovanni Paolo II, la delegazione cinese cancellò il giorno prima il viaggio, per la presenza a Roma di una delegazione di Taiwan, perché non voleva far figurare due Cina. Nonostante questo incidente diplomatico, la Cina ha seguito tutto e si è potuto pregare pubblicamente per il papa».

I problemi però non si sono risolti. Perché si continua a ordinare vescovi cattolici senza l’autorizzazione di  Roma?

«Ci sono stati diversi incontri della Commissione vaticana con il ministro degli affari esteri cinese ,in seguito ai quali sono stati ordinati nove vescovi riconosciuti da tutte e due le parti. Ma poi è andata male e la Cina vuole dimostrare che può andare avanti come prima. È una situazione geopolitica molto complicata e anche in questa situazione Giovanni Paolo II ha dimostrato, andando a Cuba, che il papa non era anti-comunista. Ricordo che, con quel viaggio, lanciò un segnale molto importante per la Cina». 

Qual è la speranza più profonda per questa situazione?

«Spero nel dialogo. Spero che si riprenda e si continui a dialogare. Ora con il nuovo cardinale di Hong Kong, John Tong Hon, si è riaperta la speranza nel dialogo. Ha anche dato nuovo vigore alla speranza per Hong Kong, dando alla città una chiara identità a divenire ed essere un ponte di dialogo».

Quale posto ha la Chiesa cattolica in Cina?

«Ha il posto dell’universalità. Ha la chiamata ad essere in dialogo, ad essere per tutti».
 
 
 
 
 

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