Una Chiesa nella prova
Con le dimissioni del vescovo di Bruges, anche in Belgio sono venuti alla luce casi di pedofilia. Laici e consacrati, dopo lo choc iniziale, hanno risposto con un rinnovato impegno alla conversione.
Anche la Chiesa belga è stata toccata direttamente al cuore dallo scandalo della pedofilia. L’ormai ex vescovo di Bruges, Roger Vangheluwe (73 anni), ha ammesso aver abusato di un nipote sia prima che dopo la sua ordinazione episcopale. «La Chiesa conserva una sua importanza nella società – ha detto qualche giorno fa alla radio nazionale un filosofo moralista – come “casa di produzione di moralità”», una funzione a suo avviso importante. E qui vacilla ormai anche sotto questo aspetto.
La notizia ha fatto scalpore in tutto il Paese e anche all’estero. Il papa ha subito accettato le dimissioni, e anche se non ci sarà un intervento della giustizia civile, perché il reato è già prescritto, lo choc tra i credenti è visibile e la crisi di fiducia inevitabile. E si sente. La situazione per certi aspetti ha del drammatico, perché molti si chiedono in chi si possa ancora avere fiducia se non la si può più avere nemmeno in un vescovo. E inevitabilmente in un primo momento di emozione si guarda con sospetto ogni sacerdote, frate o suora. Poi si ragiona. Il giorno stesso tante personalità ripetevano che lo scandalo non aveva intaccato la loro fede in Dio, ma inferto un duro colpo alla loro fiducia.
Già 14 anni fa con il caso di Dutroux, che aveva tenuto in ostaggio e ucciso varie ragazzine, il Belgio si era brutalmente confrontato con la presenza di questo lato oscuro della vita in una società che tendeva ad addormentarsi nella sua opulenza e nell’illusione che tutto andasse nel migliore dei modi. La questione del male si poneva in termini di pedofilia, dramma al quale la società reagì in maniera forte e simbolica. “I nostri bambini non si toccano”: una marcia con centinaia di migliaia di partecipanti aveva dato prova di un soprassalto nella società civile. In verità solo negli anni 80 si è iniziato ad indagare sul fenomeno in modo più scientifico, e se in questi anni si sono fatti progressi, ci si è anche resi conto del peso che tante vittime portano per tutta la vita. Un lavoro d’indagine portato avanti con serietà anche in teologia, con una riflessione sulla voce dei più deboli che bisogna far sentire in maniera più forte. La scelta di capire la pedofilia prima di tutto dalla loro parte ha cambiato ormai l’approccio del passato anche dentro la Chiesa. Lo riassumeva di recente una teologa, C. Demasure, dicendo che non c’è solo un fatto di giustizia e un peccato: è cresciuta la coscienza che siamo anche di fronte ad una patologia, e che dunque avere misericordia per la miseria del pedofilo è ormai inadeguato. Ci vuole di più.
La Chiesa belga ne aveva già preso atto ai tempi di Dutroux (1996), insediando una commissione indipendente per tutti casi che non cadrebbero sotto la giustizia civile perché andati in prescrizione. La commissione ha lavorato con risultati alterni, ma l’esperienza ha fruttato di recente un cambiamento di stile con un nuovo presidente, un professore di Lovanio: il pedo-psichiatra P. Adriaenssens, che gode ormai di stima unanime per la sua competenza anche nei media più critici. La rapidità e la trasparenza della sua azione nel caso di Vangheluwe e la reazione rapidissima del papa che subito ha accettato le dimissioni hanno sortito un buon effetto. Anche la conferenza stampa che ha reso pubblica la cosa e l’impegno di trasparenza della Chiesa belga in quell’occasione hanno costituito una tappa importante. Sono da quel momento aumentati i casi portati alla Commissione. Ed è estremamente importante denunciare alla polizia, se il caso cade ancora sotto la legislazione: il credente, anche il sacerdote, è chiamato ad essere un buon cittadino, non ci possono essere privilegi. Soprattutto la pastorale che passava per discrezione spesso non era cosciente dell’aspetto patologico e non impediva poi la recidiva. La bontà pastorale ha causato nel passato la possibilità per il pedofilo di fare altre vittime, e questa spirale non si può fermare senza misure più drastiche. Se i fatti sono già prescritti per la legge, l’esperienza e la riflessione sembrano indicare che bisogna rompere i tre meccanismi che segnano la maggior parte dei casi di pedofilia: l’abuso di potere, la pressione per la segretezza e l’intimità del luogo chiuso.
Contro l’abuso di potere la guarigione deve passare per il ristabilimento dell’uguale dignità, contro la pressione della segretezza c’è bisogno di un qualche foro pubblico, mentre l’intimità chiusa richiama la necessità di trasparenza. Il lavoro della Commissione insediata dai vescovi corrisponde a questi criteri. Se la diocesi di Bruges e tutta la Chiesa belga sono rimaste sotto choc, lentamente le parole per dire il proprio sentimento sono emerse e le analisi hanno guadagnato in profondità. Belle le iniziative partite da gruppi di fedeli che si sono radunati per condividere le loro reazioni, e la voglia di impegnarsi di più a vivere il Vangelo. Reazione analoga dei vescovi, anche se lo choc era per loro forse ancora più forte, essendo Vangheluwe il vescovo in funzione da più tempo (25 anni) e dunque conosciuto e assai apprezzato. Ma se la condanna dell’abuso sessuale e la preoccupazione per la vittima vengono al primo posto, la strada per la riconquista della fiducia passa per tante vie, dagli atti personali a quelli collettivi.
La preoccupazione per i sacerdoti è viva in molti. Uno di loro ha raccontato che il giorno stesso della notizia si è trovato a preparare, con una coppia di cui aveva celebrato il matrimonio, il battesimo del loro primo nato. La mamma ha messo la bambina sulle sue ginocchia. «Non si può capire l’emozione che mi ha invaso per questo atto di fiducia» ha detto. Perché, come ha ammesso un altro sacerdote, «davanti all’assemblea domenicale, quasi non osavo guardare in faccia i bambini», reazione poi superata. Si racconta anche di chiese gremite che applaudivano il loro parroco per aver trovato le parole giuste per l’assemblea eucaristica. Si passa ovviamente per tante reazioni diverse, ma il processo di guarigione dell’intera comunità dei fedeli, ha fatto notare più di un commento, passerà per un impegno di tutto il popolo di Dio a vivere il Vangelo nel quotidiano.
Forse è la fine di un tipo di Chiesa dove il sacerdote era una figura a parte, isolata, sacra. Forse sacra è piuttosto la comunità con il Santo che vive in mezzo a loro, ognuno con le sue mansioni. Ambrogio nel quarto secolo parlava già di Chiesa casta e meretrix, santa e peccatrice: oggi si potrebbe cogliere il momento per un cammino di conversione verso una Chiesa più umile, come ha detto uno dei vescovi giovani.
dal nostro corrispondente a Bruxelles