Una Chiesa missionaria e sinodale nello spirito di comunione
«Non riusciremo a inserire nelle sintesi che vi presenteremo tutti i contenuti emersi dai vostri lavori di gruppo. Ce ne scusiamo», cosi hanno esordito i relatori presentando la sintesi finale. Tanta vita, dunque, e tante proposte concrete dai delegati che hanno scandagliato le cinque vie (uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare) scelte per indicare possibili percorsi da intraprendere nel costruire «In Cristo un nuovo umanesimo».
«Uscire» non è qualcosa che bisogna fare, è piuttosto uno stile di vita, è un andare incontro agli altri, soprattutto ai poveri, agli emarginati, ai feriti della nostra società, ai popoli che vivono forzatamente “l’uscita” dalle loro case, dai loro Paesi. Si tratta di qualcosa di concreto: occorre prima di tutto uscire da sé stessi, «bruciare i nostri divani» – come efficacemente hanno invitato a fare i giovani presenti – per superare ogni pigrizia ed aprirsi all’altro, ad ogni altro. Così anche nelle nostre comunità, rilanciando gli organismi di partecipazione, dando fiducia e ripartendo verso nuove frontiere.
Se la vita del Vangelo porta gioia, come l’abbiamo sperimentata in questi giorni, allora l’«annunciare» non è altro che condividere la propria esperienza di incontro con Gesù. L’annuncio passa, quindi, attraverso relazioni vere, di condivisione, dell’ascoltare più che dire, dell’incontrare più che portare, in cui si conosce l’altro come Gesù, che incontra e conosce Zaccheo o la donna samaritana. Maria che visita la cugina Elisabetta è stata indicata come l’icona dell’annuncio.
Dal lavoro dei gruppi è emerso con chiarezza che non si abitano solo luoghi, bensì – soprattutto – relazioni. L’«abitare» muove dal «“farsi abitare da Cristo”, perché solo a partire da qui può essere fatto spazio all’altro», in una molteplicità di possibilità sintetizzabili nell’ascoltare, lasciare spazio, accogliere, accompagnare e fare alleanza.
Molti hanno visto l’abitare e l’«educare» strettamente collegati fra loro. L’emergenza educativa è, al giorno d’oggi, evidente agli occhi di tutti non solo della Chiesa. Essa, certamente, può offrire un suo specifico contributo, sottolineando la dignità della persona, la sua unicità, la relazionalità e l’apertura alla trascendenza. Occorre dare rilevanza alla comunità che educa, trovando anche nuovi linguaggi educativi.
Il «trasfigurare» ha ricordato che Gesù nei suoi incontri quotidiani, nel suo sguardo sul mondo e l’umanità non ha mai lasciato le cose e le persone come le aveva trovate. È Lui che trasfigura, non siamo noi. Occorre allora lasciarsi trasformare da Lui per avere uno sguardo che cerca l’uomo, specialmente i poveri, facendo emergere che non c’è umanità là dove c’è scarto e ingiustizia, dove si vive senza speranza e senza gratuità. Trasfigurare è anche far emergere la bellezza che c’è nelle persone che incontriamo e delle situazioni che viviamo.
Il «documento di sintesi» finale potrà anche risultare insufficiente, ma la vita vissuta in questi giorni è stata senz’alto sovrabbondante. Nel tracciare le prospettive di «una Chiesa sempre più missionaria» ed animata da «uno stile sinodale», il cardinale Bagnasco, Presidente della CEI, incoraggia i delegati a rientrare nei propri ambienti «senza la paura di guardare in faccia la realtà – anche le ombre -, ma con la lieta certezza di chi riconosce…la presenza operosa dello Spirito Santo».
L’esperienza di fraternità vissuta costituisce la speranza che il convegno non si chiuda con oggi. Occorre accompagnare le occasioni del camminare insieme, con un metodo sinodale, una vita di comunione (come invocava San Giovanni Paolo II), per far sì che il nostro agire quotidiano, le relazioni con ogni prossimo siano trasfigurate dalla presenza del Risorto in mezzo a noi.