Una Chiesa giovane di 500 anni
Intervista con l’arcivescovo di Santo Domingo in occasione della visita di Maria Voce, presidente dei Focolari, nei Caraibi
Nel centro storico della capitale dominicana, nell’incantevole e pittoresca Zona Colonial, proprio di fronte alla Cattedrale, la più antica esistente nelle Americhe, Maria Voce ha incontrato nella mattina del 15 aprile l’arcivescovo di Santo Domingo, card. Nicolas de Jesus Lopez Rodriguez, presidente della Conferenza episcopale dominicana. Nel cordialissimo colloquio si è parlato di diversi argomenti: dall’eredità lasciata da Chiara Lubich – «estremamente attuale nell’attuale contesto globalizzato», ha commentato il cardinale – alla recente beatificazione della giovane focolarina Chiara Luce Badano – «un esempio per tutta la gioventù» –, ai 500 anni dell’arcidiocesi di Santo Domingo, la prima istituita nelle Americhe, alla presenza dei Focolari nei Caraibi – «una presenza che arricchisce la Chiesa e la società».
Al termine del colloquio, l’arcivescovo ci ha concesso un’intervista. «Sono stato molto felice di ricevere Maria Voce – ci ha detto il cardinale –, perché avevo conosciuto bene Chiara Lubich, in particolare durante alcuni sinodi dei vescovi a cui avevamo partecipato insieme, e avevo letto numerosi suoi libri. Credo che la sua visita sia importante in particolare per i giovani dominicani, che così possono ricevere da lei la spiritualità dell’unità».
Questa visita cade nei 500 anni della istituzione della diocesi di Santo Domingo…
«È una felice coincidenza, quella di questa visita con l’istituzione della arcidiocesi di Santo Domingo e di altre due diocesi. Credo che sia importante sottolineare la presenza della Chiesa qui, sin dal 1594, quando arrivarono alcuni francescani ed altri pochi frati, nel secondo viaggio di Colombo. Essi hanno avuto il coraggio di difendere le popolazioni degli indios – un grave problema con le autorità spagnole –, ed hanno coraggiosamente sostenuto che erano persone come tutte le altre. Finché nel 1512 anche le leggi spagnole si sono adeguate, ed hanno riconosciuto la dignità delle popolazione indios. Oggi stiamo perseguendo la “missione continentale” incoraggiata dai vescovi dell’America Latina nell’ultima Conferenza di Aparecida in Brasile, e benedetta dal papa stesso. Credo che la Repubblica Dominicana sia uno dei Paesi in cui questa missione è cominciata bene, forse anche perché avevamo l’esperienza della grande missione del 2000: allora erano più di 10 mila i “missionari”, che ora sono diventati circa 25 mila. La Chiesa dominicana credo sia abbastanza consapevole della sua responsabilità nel ricordare quegli uomini che hanno difeso la verità e la giustizia e la dignità degli uomini».
Qual è la situazione sociale della Repubblica Domenicana?
«Abbiamo una realtà molto difficile, socialmente parlando. Tra l’altro dividiamo l’isola di Hispaniola con Haiti, che ha subito il dramma che tutti conosciamo. Qui da noi ci sono almeno un milioni di haitiani, che possono passare liberamente la frontiera e che qui trovano qualcosa che non trovano là. Noi siamo intervenuti subito, all’indomani del terremoto, e il nostro aiuto continua tuttora, un segno di solidarietà incoraggiato caldamente anche dai vescovi. Io stesso mi sono recato a Port-au-Prince all’indomani del sisma a portare l’aiuto ai fratelli vescovi haitiani. Abbiamo creduto necessario mantenere questo flusso di solidarietà, e ora anche il presidente vuole costruire una università in Haiti, il che sarebbe un segno molto bello e storicamente importante. Ci sono poi tanti problemi qui da noi, ma fortunatamente ci sono anche molte persone impegnate a risolverli: in particolare nel campo dell’educazione e nel sostegno solidale nei quartieri più poveri. In tutte le parrocchie – erano 78 quando sono arrivato, ora sono 213 –, in tutte le borgate più povere, vediamo come i cattolici non siano impegnati solo in materia religiosa ma anche nell’educazione, nella sanità e in altri campi».
Ha un sogno per la Repubblica Dominicana?
«Il mio sogno è che tutti accogliamo Gesù Cristo, che siamo disposti ad aprirgli il nostro cuore. È questa la nuova evangelizzazione di cui tanto ha parlato Giovanni Paolo II e di cui parla anche Benedetto XVI. Se riuscissimo a portare nel nostro cuore il messaggio del Vangelo, penso che le cose andrebbero molto diversamente anche qui da noi».