Una Chiesa a colori

Sono un educatore di oratorio. Vengono a giocare anche ragazzini musulmani. Come devo comportarmi con loro? Riccardo

Sono un educatore di oratorio. Vengono a giocare anche ragazzini musulmani. Come devo comportarmi con loro? Riccardo

 

Le migrazioni di popoli hanno da sempre accompagnato la storia del nostro pianeta. Agli inizi del secolo scorso, molti dei nostri nonni hanno dovuto percorrere chilometri e solcare mari abbandonando l’Italia, per affrontare un viaggio della speranza. Oggi molti fratelli fuggono da guerra e fame e arrivano sulle nostre coste con il sogno di una vita migliore. Spesso si tratta di musulmani: famiglie numerose, che sopperiscono alla denatalità del mondo occidentale e con i loro ragazzi vengono a colorare i nostri oratori e le nostre parrocchie. Giorni fa sono passato a Santa Maria in Vallicella a Roma, dove è custodito il corpo di San Filippo Neri. Un santo gioioso, che nella seconda metà del 1500 fondò la Congregazione dell’oratorio, raccogliendo figli dispersi. Lui non domandava il passaporto per accedere in parrocchia, consapevole,  come dice papa Francesco, che «la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa» (EG 47).

Occorre aver chiaro che la cultura dell’incontro si costruisce valorizzando ciò che accomuna i popoli senza però annullare le differenze. Con l’Islam possiamo camminare sulle orme del nostro padre Abramo e dialogare favorendo una civiltà di pace, aiutando i più piccoli a crescere senza lasciarsi travolgere da frange minoritarie ideologiche. Questa accoglienza sapiente sarà il segno più bello della nostra fede in «un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4, 6).

 

p.gentili@chiesacattolica.it

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