Una chiamata all’unità per la Thailandia

La maggioranza della popolazione è tornata al lavoro nonostante il leader della protesta avesse indetto uno sciopero generale. Ma i manifestanti in piazza sono ancora molti e si avvicinano le celebrazione del 5 dicembre, giorno del compleanno del re
In Thailandia continuano le proteste anti-governative

Quello che abbiamo visto nelle strade di Bangkok negli ultimi tre giorni non è certo un esempio di mitezza e serenità, tratti tipici del popolo thailandese. Attacchi ripetuti alla sede del Parlamento, al quartier generale della polizia, comunicati belligeranti, occupazione del complesso degli uffici governativi a Chaengwattana: tanta poca comprensione, molta emozione, odio verso l’avversario poitico e nessun compromesso ragionevole.

Soprattutto la pretesa di rappresentare la giustizia per il Paese e di parlare a nome di tutti; questo da entrambe le fazioni. Al momento si contano tre morti e 145 feriti circa. Fino ad oggi è impossibile valutare i danni degli altri attacchi, soprattutto agli uffici governativi, anche perché questa mattina le manifstazioni sono ricominciate. Quello che tanti notano, soprattutto gli intellettuali, è un clima d’intolleranza, di “ismo” eccessivo.

Una situazione del genere non porterà a nulla di positivo, si dice, se non ad uno scontro sempre più acceso e feroce. È un’opinone sofferta e reale, perché tutti soffrono quando si litiga e si muore. Ieri ho potuto intervistare Chainarong Monthienvichienchai, già presidente della Saint John University; uomo di spicco la cui fama e il cui equilibrio è riconosciuto a livello nazionale e internazionale. Ha ricevuto anche riconoscimenti onorifici dal Vaticano. Insomma, un uomo il cui giudizio è ponderato. «Secondo quanto ho potuto osservare in entrambi gli schieramenti politici, la situazione sta paurosamente degenerando. È possibile che continui sulla strada della violenza con effetti devastanti, come anche che si fermi, e speriamolo tanto. Tante forze positive del Paese stanno lavorando per trovare una soluzione politica che sia accettabile da entrambe le parti e si fermi questa lotta irrazionale».

Il volto di Chainarong è preoccupato: «Quello che più mi preoccupa e direi mi fa paura è che entrambi gli schieramenti accusano l’avversario d’essere "demoniaco". Questo è pericoloso, perché apre la strada a quanto voi in Europa conoscete bene: atteggiamenti intolleranti, mi lasci dire la parola, "nazisti", cioè con grande enfasi emozionale, poco razionali, senza via d’uscita per l’avversario politico, se non l’eliminazione in nome di un bene assoluto, riconosciuto solo come prerogativa di una fazione politica: una legittimazione "a far fuori" l’avversario perché "cattivo". È un aspetto preoccupante, su cui tante forze politiche in Thailandia lavorano: è assolutamente necessario ritornare al tavolo delle trattative, comprenderci e cessare la violenza. Solo tutti insieme è possibile trovare una soluzione per il vero bene del Paese. Senza escludere l’altro. Mi creda: in questo momeno c’è anche bisogno di preghiera per la Thailandia; c’è bisogno di calma, di riflessione per pensare al bene della nazione, non ai proprio interessi».

Ci salutiamo direi con una profonda commozione interiore. Ieri, domenica 1 dicembre, non è stata una vittoria per i manifestanti; molte persone hanno disertato le manifestazioni in quanto non condividono l’estremismo e la violenza. Nel tardo pomeriggio il capo dei manifestanti, Suthep Thaugsuban, pur dichiarando vittoria, la formazione di un cosidetto "Parlamento del popolo", e chiesto a tutte le stazioni televisive di dare solo notizie dei dimostranti e nessuna notizia da parte del governo, ha dovuto cedere alle richieste, e con la presenza mediatrice del capo delle forze armate, il generale Prayut Chan-ocha, si è incontrato, finalmente, con Yingluck Shinawatra, il primo ministro eletto dal popolo. È già questo un primo segno positivo.

Ufficialmente avrebbe dato solo 48 ore al primo ministro per le dimissioni; alcuni analisti, invece, hanno commentato in modo diverso: Suthep Thaugsuban e i manifestanti devono trovare un "salva faccia" per cessare la violenza in tempo e preparare le celebrazione per il 5 dicembre, giorno del compleanno del re. C’è bisogno del sostegno delle forze armate, che hanno già dichiarato che interverranno solo per il bene del Paese, e non per aiutare una fazione o l’altra. È impensabile che un vero thai possa manifestare, sollevare la folla il giorno del compleanno del re. Sarebbe tacciato da tutti come alto tradimento, da qualsiasi punto lo si potrebbe analizzare. Il Paese, per il 5 dicembre, dev’essere in pace. Questo è sicuro e le forze armate sarranno pronte a intervenire; questo a detta di molti analisti politici nazionali. È impensabile un 5 dicembre con morti per le strade: in 86 anni non è mai successo e non accadrà quest’anno.

Oggi, lunedì 2 dicembre, avrebbe dovuto essere un giorno d’astensione dal lavoro a livello nazionale, come dichiarato con molta enfasi ieri pomeriggio da Sutep Thaugsuban, ma sembra che lo sciopero non sia stato osservato da tanti. La stragrande maggioranza delle persone sono andate regolarmente a lavoro, anche se la città non ha ripreso il suo traffico caotico. Sono in strada parecchi manifestanti che, come si usa da queste parti, si dice abbiano già ricevuto la loro "paghetta" giornaliera. Col caldo che fa, non si va in strada solo per la gloria delle idee. Anche questa è l’Asia. Se le idee non ti danno da mangiare allora valgono poco. Si attende. Si spera. Si prega anche, incollati alle tv e radio. Stamattina presto, alle 5, un signore accanto a me sull’autobus mi diceva: «Ieri i pregavo: oggi continuerò intensamente, perché la gente ritrovi la via della pace e dell’unità nazionale. Abbiamo bisogno solo di questo come regalo per il nostro amato re».

E vogliomo sperarlo davvero tutti.

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