Una cena ecumenica
La proposta era venuta da padre Imad: una cena per festeggiare i suoi 26 anni di sacerdozio. Padre Imad è da tre anni parroco latino a Fuheis, in Giordania. Latino nel senso di cattolico di rito latino. In Oriente, i cristiani, non solo i cattolici, sono di vari riti, così è meglio usare i termini giusti per riconoscere il valore delle differenze, nel rispetto dell’identità di ciascuno.
Abouna Imad (cioè padre Imad) appartiene al Patriarcato latino di Gerusalemme (che comprende anche la Giordania) ed è parroco del Sacro Cuore di Maria, a Fuheis, una cittadina di 24 mila abitanti (almeno d’estate), situata una ventina di Km a nordovest della capitale, Amman. La prima parrocchia latina a Fuheis fu fondata nel 1874, in epoca ottomana, e fin da allora ospita anche una scuola, oggi riconosciuta dal governo giordano (dalla materna al liceo).
Fuheis è una città particolare: oltre il 60% della popolazione è costituito da cristiani greco-ortodossi e quasi il 40% da cattolici, latini e melkiti (greco-cattolici). Ci sono musulmani che ci lavorano, ma non vi abitano. Questo in un Paese come la Giordania, dove i cristiani non arrivano al 3% della popolazione e i musulmani sunniti sono almeno il 94%.
Da alcuni anni padre Imad e gli altri parroci sono impegnati a rafforzare le relazioni tra i fedeli delle chiese apostoliche di Fuheis. Si sono realizzate iniziative ecumeniche che stanno diventando una tradizione: visite sociali (ad esempio per le condoglianze), collaborazione per gli aiuti umanitari, incontri in occasione della ricorrenza della “Presentazione di Gesù al tempio” in cui si prega (lectio divina) e si cena insieme.
Insomma, padre Imad alla cena per il suo anniversario desiderava invitare i sacerdoti di Fuheis e delle vicinanze, ma non solo quelli cattolici. E le religiose. Ma non potevano mancare, poi, le focolarine di cui ha grande stima, tanto più che la loro casa si trova proprio nella sua parrocchia, e i focolarini di Amman con i quali c’è da tempo un rapporto di grande cordialità.
La data che andava bene a tutti era lunedì 29 giugno, festa ecumenica di san Pietro e Paolo, e anche se per i greco-ortodossi era giorno di astinenza, il pesce è consentito. Se poi si aggiungono i meze, gli antipasti arabi tradizionali, tabbouleh, frutta, dolci e un eccellente vino giordano del Monte Nebo, la cena era assicurata.
Quella mattina, papa Francesco durante l’omelia aveva detto fra l’altro: «Oggi, secondo una bella tradizione, ci uniamo in modo speciale al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Pietro e Andrea erano fratelli, e noi, quando possibile, ci scambiamo visite fraterne nelle rispettive festività: non tanto per gentilezza, ma per camminare insieme verso la meta che il Signore ci indica: la piena unità. Oggi, loro non sono riusciti a venire [a Roma], per il problema dei viaggi a motivo del coronavirus, ma quando io sono sceso a venerare le spoglie di Pietro, sentivo nel cuore accanto a me il mio amato fratello Bartolomeo [il patriarca ortodosso di Costantinopoli]. Loro sono qui, con noi».
Durante la cena il clima era di grande accoglienza reciproca. Quello che impressionava era anche l’internazionalità dei presenti, che sottolineava in modo immediatamente percepibile l’universalità dell’unica Chiesa.
Una Chiesa araba e ben ancorata nella terra in cui si trova e di cui è al servizio, ma tra quelle 26 persone c’erano ortodossi e cattolici, donne e uomini di 10 nazionalità e 7 lingue, appartenenti a carismi, spiritualità e movimenti ecclesiali differenti.
L’archimandrita Ieronymos, responsabile del Tribunale ecclesiastico del Patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme ed egoumeno (priore) dei religiosi della regione, era accompagnato da sua madre. Gli altri greco-ortodossi presenti erano padre Romanus con la moglie, e padre Bshara. C’erano poi padre Boulos e padre Hikmat, parroci melkiti rispettivamente a Fuheis e nella vicina Salt. Tra i latini, oltre a padre Imad, erano presenti il suo giovane collaboratore spagnolo, padre Miguel, e Giovanni, seminarista italiano, entrambi del Cammino Neocatecumenale. Le suore erano di tre congregazioni: del Verbo incarnato, di Sant’Anna e del Rosario. Infine, una consistente rappresentanza dei focolari di Fuheis e di Amman.
Un piccolo momento di comunione in questa terra santa giordana dove anche i cristiani, presenti qui da duemila anni, osano sperare, con la loro unità e collaborando con i tanti credenti in Dio che cercano il dialogo, di camminare verso una pace che è spesso così difficile da sognare insieme.