Una canzone per Marion

La nuova stagione sembra iniziare veramente alla grande, nelle sale ce n'è per tutti i gusti. Da non perdere il film di Paul Andrew Williams con Vanessa Redgrave e Terence Stamp: commedia dolceamara che riesce a raccontare con pudore e delicatezza il difficile tema della vecchiaia
Una canzone per Marion di Paul Andrew Williams

Una canzone per Marion Fare un film sulla vecchiaia è difficile. Si rischia il buonismo o l’acidità o, peggio, il macchiettistico, e gli esempi, anche nostrani, non mancano. Benvenuto allora il film di Paul Andrew Williams che racconta una bella storia: quella di Marion (una stupenda Vanessa Redgrave che non teme di invecchiare), fresca e vitale, ma ammalata irrimediabilmente e di suo marito Arthur (un altro grande, Terence Stamp), burbero, scontroso, ma dolce con lei. Dramma, commedia dolceamara, pudore nel raccontare l’amore e la malattia, delicatezza e tatto nella fotografia e in più un ritmo leggero che non guasta. Il giovane regista inglese pare aver le carte in regola. Il concorso di canto a cui Marion partecipa coinvolgendo alla fine il solitario marito è solo una scusa, perfetta, per dire l’amore alla vita da parte dei due anziani coniugi. Da non perdere.

La variabile umana Bruno Oliviero sembra aver scritto su misura per Silvio Orlando un film dove l’attore è ancora una volta un padre, vedovo e stanco, le occhiaie  profonde, il volto tristissismo, il carattere chiuso. L’arrivo della figlia Linda (Alice Raffaelli) in questura, dove lui lavora, accusata di omicidio, gli stravolge la vita. Forse si apre all’amore. Delicato, coinvolgente – ottima “spalla” Giuseppe Battiston – e attento alle fibrillazioni dell’anima in una Milano cinerina, il film, presentato al festival di Locarno, si gioca sul rapporto padre-figlia senza alcuna concessione alla retorica o all’acidità, ma con misura e una trattenuta commozione. Orlando in forma perfetta.

In Trance Un banditore d’aste viene coinvolto nel furto di un quadro di Goya e non ricorda più nulla. I complici non gli credono, lo maltrattano e poi lo portano da un ipnotista. Remake del film omonimo del 2001 per la tv inglese è un lavoro mentalmente “disturbato”, ove il confine tra  realtà, visione, follia e fantasia è sul filo del rasoio. Qual è la verità alla fine, o è possibile una qualche verità? Danny Boyle lavora con impegno nel suo trhiller psicologico azzardato, su un Vincent Cassel, fascinoso e brutale, su una fotografia “parlante” come poche, tanto da parere un personaggio a parte. Isabel Rosario Dawson è la donna astuta che sa farsi ben vedere. Ritmo, dialoghi secchi, azione e paranoie. Lo stile di Boyle. Da non perdere per gli appassionati del genere.

Shadowhinters – Città di ossa La nuova saga che ambiziosamente si candida come il sequel di Twilight presenta un cast di giovani dalle facce androgine, tutti a New York, la metropoli dove si svolge la  battaglia fra il bene e il male. Sono esseri a metà tra angelo e uomo, cacciatori  di demoni. La teologia new age serve bene il suo piatto. La ragazzina Clary se ne rende conto quando la madre viene rapita. E la caccia inizia fra scorribande notturne, mostri e creature malefiche, tocchi d’amore e di terrore. Ce n’è abbastanza per far sognare i teenagers, fra l’altro due protagonisti – indovinate chi – sono anche una coppia nella vita reale… Regia superdinamica ed effettistica di Harald Zwart. C’è già il sequel pronto.

Starbuck, 533 figli… e non saperlo! Esilarante commedia su un quarantaduenne, David, dalla vita ancora adolescenziale, che si accorge di aver un numero stragrande di figli, causa le sue ripetute sedute da donatore di sperma. Ovvio, lui non ne vorrebbe sapere, ma i ragazzi lo scoprono ed egli è costretto, bene o male, ad accettarli. E a maturare. Il film è scherzoso nella sua irrealtà e ironico sul panorama giovanile attuale. I figli sono una variabile dell’universo giovanile assai interessante e scioccante per il neo-padre… Divertente, mai volgare e con un ritmo lieve e anche scatenato al punto giusto, è un film che aspetta di non essere preso troppo sul serio, ma per quello che è: una stravagante commedia surreale con battutine sferzanti agli eterni immaturi come il protagonista. Regia brillante di Ken Scott.

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