Una campagna elettorale fra patti e contratti
Manca poco più di una decina di giorni al voto. Abbiamo ascoltato e preso debita nota delle promesse avanzate dai vari partiti in competizione. Tutte da sottoporre alla prova dei fatti. Difficili, comunque, da configurare come un "contratto" con gli elettori. Men che meno come un "patto" da onorare.
Un contratto, in genere, va redatto in forma scritta, senza la quale non ha validità, sia ai fini della prova che “ad substantiam”. Il patto, di norma, basandosi sulla fiducia, può invece essere stipulato anche soltanto in forma verbale. Entrambi, tuttavia, essendo convergenze di volontà, prevedono un accordo tra due parti (nella fattispecie tra i candidati ed i cittadini-elettori), che si impegnano a mantenere comportamenti coerenti con gli impegni assunti. Reciprocamente. Un esempio banale: se si chiede ad un candidato (e poi all’eletto) di perseguire solo il bene comune, senza coltivare interessi personali, anche l’elettore, singolo o associato che sia, deve rinunciare a chiedere a colui cui ha dato il proprio voto favori o vantaggi, né per sé, né per la corporazione di appartenenza.
È legittimo che i partiti e i candidati propongano proprie ‘piattaforme’ programmatiche ai cittadini-elettori, al fine di conquistarne il consenso, se queste rimangono confinate nell’area dell’interesse generale. È specularmente legittimo che anche i cittadini-elettori, in forma associata, chiedano a quanti si propongono al governo del Paese alcuni impegni da onorare, purché sempre finalizzati al bene comune.
In quest’ottica, si inscrivono alcune iniziative. “Riparte il futuro”, è la campagna con cui Libera (l’associazione di don Ciotti) lancia un appello contro le mafie e la corruzione, che – afferma (e non si può non essere d’accordo) – «sono il vero cancro che si annida nei rapporti con il mondo politico». Propone ai candidati alle elezioni politiche la sottoscrizione di un impegno (un patto?) articolato in cinque punti: entro 100 giorni dall’inizio dell’attività parlamentare, l’eletto deve essere impegnato per una nuova legge contro la corruzione che sia più incisiva dell’attuale; rendere pubblico il proprio curriculum vitae; rendere pubblica la storia giudiziaria personale; rendere pubblica la situazione reddituale e patrimoniale; dichiarare i potenziali conflitti d’interesse fra il politico e il Paese.
Dal canto suo, il Forum delle associazioni familiari ha divulgato un documento nel quale vengono richiesti ai candidati alcuni impegni precisi, che riprendono i punti dedicati al tema della famiglia dal cardinale Bagnasco nella prolusione all’ultima assemblea della Cei, di cui abbiamo riferito in un precedente articolo.
Infine, Il Movimento politico per l’unità e il Movimento Umanità Nuova, diramazioni politica e sociale dei Focolari, hanno posto alcune priorità al prossimo Parlamento nei primi mesi dall’insediamento, ritenute necessarie per ricostruire una relazione positiva tra politica e cittadini: il varo di una nuova legge elettorale, che dia la possibilità agli elettori di scegliere i candidati e coniughi con efficacia il principio di governabilità e la rappresentanza delle forze politiche presenti nel Paese; una riforma dell’art.49 della Costituzione, che attribuisca un riconoscimento giuridico ai partiti politici, come strumenti di partecipazione democratica dei cittadini, e che li obblighi ad una rendicontazione trasparente dei bilanci.
Contratti? Patti? Chiamateli come volete. In campagna elettorale non sussistono vincoli giuridici agli accordi candidati-elettori. La garanzia della loro osservanza sta soltanto nell’onestà e correttezza dei contraenti: un gentlemen’s agreement, un accordo tra gentiluomini. È in gioco il capitale di fiducia (quasi del tutto eroso) di cui dispongono i partiti in competizione nei confronti degli elettori.