Una cabina alla stazione

Fu il tuo regalo di compleanno; inatteso, originale, particolarmente gradito. Mi regalasti una storia, la tua, di quando incontrasti un angelo. Sapevi che ho un debole per queste storie, sapevi anche che avrei capito. Così rischiasti di confidarmi cose che non si raccontano a tutti, perché personali, delicate, compromettenti. Con poche pennellate descrivesti un passaggio cruciale della tua vita, lasciando a me di immaginare e raccontare il resto. Cosa che provo a fare, con un po’ di timore di fronte alla sacralità di certi momenti. Spero di farti cosa gradita. Perché è a te che dedico queste pagine, a te e a quanti sono in cammino per la loro strada, non priva di bivi e tunnel. Avevi lasciato tutto per rispondere a una chiamata di Dio. Tutto voleva dire: la patria, la famiglia, il lavoro, gli amici, un amore. Eri innamorato di un’amica dell’università quando risuonarono nel tuo cuore quelle affascinanti e misteriose parole che chiamiamo vocazione: Vieni e seguimi. Facesti quello che il cuore ti dettava: la lasciasti e partisti. Credo che il Signore abbia apprezzato molto questo tuo gesto. Fu una bella prova d’amore per lui. Dimostrasti coraggio, generosità e un po’ di follia, requisiti necessari per seguire Dio. Il fatto è che non siamo robot, dunque non possiamo programmare i nostri sentimenti, dire: adesso mi dimentico di lei, non ci penso più. Spegni il computer, lo riaccendi ed è fatta. Tutto resettato. Ci vuole tempo. Mesi, anni. Senza nulla togliere all’onestà della tua scelta, da qualche parte in fondo al cuore la nostalgia per la ragazza amata si era riservata un angolino tutto per sé. Ci sono stanze dell’anima che solo Dio conosce, noi non sappiamo neanche guardarci dentro o preferiamo non farlo. Dopo un periodo di ambientamento non facile all’estero, tornasti a casa per qualche giorno. Fu allora che la rincontrasti. Finché si è lontani e si vive una vita intensa, piena di soddisfazioni, si può credere di aver dimenticato. Ma quando si è provati, nel dubbio, e ci si ritrova di nuovo a faccia a faccia, tutto quello che sembrava finito, lontano, ritorna in un istante, con una violenza travolgente. Uno schiaffo della memoria. Come se il tempo non fosse passato e le scelte fatte non fossero sufficienti a giustificare una vita senza di lei. Ce l’hai davanti e pensi: come ho fatto a lasciarla, questa è la persona con la quale vorrei condividere il resto della mia vita. E in fondo pensi una cosa vera, anche se falsa, a rifletterci bene. La passione è fuoco. Si accende e brucia, consuma. Ti sentisti ardere. Buon Dio, che razza di storia è questa? Mi hai chiesto di lasciare la ragazza che amo per seguirti. L’ho fatto. Di rinunciare a un futuro certo e felice per un futuro sconosciuto. Ho fatto anche questo. Adesso la rincontro e ricomincia tutto da capo. Quante volte devo strapparmi il cuore? Bisogna proprio perdere quanto ci è più caro? Perché sei così geloso? Si vede che Dio trovò parole buone per te, perché alla fine decidesti di ripartire e rilasciarla. Dal tuo paese a Torino non è un gran pezzo di strada. Il cuore si fece presto sentire. Ti bruciava qualcosa dentro. Arrivato alla stazione cercasti una cabina telefonica, comprasti una scheda e la chiamasti. Volevi darle l’ultimo addio. Questa è una cosa alla quale è difficile rinunciare. Si trovano mille scuse per far scintillare qualche istante ancora l’amore. Magari avrai sentito il dovere di ridirle quello che lei già sapeva, con la speranza ingenua di dirlo meglio, più solennemente. Forse avevi bisogno di risentire la sua voce e la tua che dice: è finita, questa volta per davvero, devo seguire la mia strada, andare dietro a Dio, ti amo, credimi, per questo vado via. Gli impulsi del telefono scandivano un tempo irreale: il tempo di un addio. Non credo al tempo che divide. Credo all’eternità che unisce. E ci credi anche tu. Il tempo a volte si muove come un pugile, con passi leggeri e veloci, gli occhi fissi nei tuoi, non ti lasciano un momento. Danza e colpisce. Guai a perdere il passo, distogliere lo sguardo, scoprirsi troppo. Può essere letale. Ogni impulso, un colpo; l’ultimo ti fece barcollare. Riattaccasti la cornetta e iniziasti a sentire una specie di ronzio nelle orecchie, in fondo allo stomaco un dolore lancinante. Uscisti dalla cabina frastornato. Ti saresti aspettato di tutto, ma non di trovarti davanti la faccia di Paolo. Passava con nonchalance. Un attimo prima o un attimo dopo e non vi sareste incontrati. La gioia e lo stupore di rivederlo dopo anni ti fecero dimenticare per un istante il dolore. Paolo era più di un amico, era un compagno di viaggio. Avevate seguito Dio per la stessa strada, condividendo i primi passi, un periodo di incanto e certezze. Poi eravate partiti ognuno per la sua destinazione. Adesso vi ritrovavate, per caso, tu di passaggio, dopo un soggiorno a casa, lui lì, occasionalmente, per lavoro. Dall’ultima volta che vi eravate visti erano successe tante cose. C’era molto da raccontare e poco tempo prima della tua partenza. In realtà, per te la cosa da raccontare era una, che racchiudeva tutte le altre. Lui ebbe la felice imprudenza di farti una domanda apparentemente banale: come stai? Non fu necessario chiedere altro. Iniziasti a raccontare. Chi meglio di lui poteva capire? Un pellicola scorreva davanti ai vostri occhi al rallentatore. Era la tua storia degli ultimi due giorni. Il ritorno a casa, l’incontro con la ragazza amata che anni prima avevi lasciato. Il riaccendersi della passione, la certezza di doverla nuovamente lasciare, la partenza, l’ultimo lacerante addio da una cabina della stazione. A volte vi fermavate su qualche fotogramma per guardarlo da vicino, poi vi allontanavate per vedere la pellicola nell’insieme e cercare di cogliere nella sequenza delle immagini un senso, forse l’idea del regista. Lui ti ascoltava. Sono rare le persone che sanno ascoltare. Bisogna saper fare il vuoto dentro, diventare leggeri per sollevare gli altri. Gli angeli sono lievi per costituzione e lo sanno fare. Il ronzio nelle orecchie iniziò a sfumare, quel dolore lancinante in fondo allo stomaco diventò sopportabile. Un balsamo salutare ti scivolò sull’anima, come una benedizione. Capisti. Forse la storia è ciclica. Disegna cerchi o spirali. Dipende da noi. Si può tornare sullo stesso punto senza restare sullo stesso piano. A ogni giro si può arrivare più in alto, se si fa un salto in una dimensione superiore. Così scopriamo che non stiamo girando intorno a noi stessi, stiamo salendo. E che ogni anello della spirale si regge sul precedente, come una molla. Se ci spingono verso il basso, cercando di schiacciarci su un piano, la molla ci rilancia su, in quella dimensione in più che è la nostra. Però bisogna fare un salto, altrimenti si rimane tutta la vita chiusi in un cerchio. Nel tempo che separa un treno dall’altro e distingue la tua strada da quella della ragazza amata, in questo incessante partire che è la nostra vita, un amico è piovuto dal cielo per sollevarti e aiutarti a capire. Non lo dimenticherai. Non dimenticherai neppure quella cabina alla stazione. Mi chiedo se ci sei più tornato. Un giorno ci torneremo insieme. È doveroso osservare il culto dei luoghi sacri della propria storia. Il mondo è pieno di piccoli santuari e nessuno lo sa.

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