Una buona riforma per una democrazia decidente

Intervista a Roberto D’Alimonte, professore ordinario di “Sistema Politico Italiano” alla Luiss “Guido Carli” di Roma. Secondo il politologo, consigliere del presidente del consiglio Matteo Renzi, dalla comparazione con i modelli europei vigenti, emerge un quadro riformatore elettorale lontano dalla deriva autoritaria ma in grado di assicurare governabilità e rispetto delle minoranze
ELEZIONI ANSA

Sull’acceso dibattito in corso in vista del referendum costituzionale di ottobre, abbiamo rivolto alcune domande al professor Roberto D’Alimonte, direttore del Centro studi elettorali (Cise) della Luiss, l’università di Confindustria dove è il responsabile del dipartimento di Scienze Politiche.

 

Alcuni esperti considerano la Riforma costituzionale Renzi-Boschi una riforma imperfetta con interventi settoriali che minacciano la sistematicità dell’ordinamento; tuttavia, per altri, essa è in grado di incidere su meccanismi invecchiati come il bicameralismo paritario. Qual è la sua valutazione?

Il problema è conciliare governabilità con rappresentatività. Ci troviamo a decidere su un unico progetto di ammodernamento del Paese: riforma della Costituzione e legge elettorale Italicum. Se vincerà il no, non si potrà andare subito al voto trovandoci con due leggi elettorali, una per la Camera, l’Italicum con un premio di maggioranza e una proporzionale pura per il Senato non riformato, il Consultellum. Il Paese sprofonderebbe in una grave crisi istituzionale. L’Italicum è una legge unica che assicura un vincitore certo e governabilità. Chi ha il 40% dei voti prende 340 seggi. Il ballottaggio tra due liste diventerà una modalità normale. Decidono gli elettori e non i partiti.

 

Secondo i critici tuttavia la legge elettorale Italicum, combinata con la legge di riforma costituzionale del Senato, attribuisce poteri esagerati a chi vince. Esistono a suo avviso dei contrappesi efficaci?

Con l’italicum siamo tutt’altro che davanti a una deriva autoritaria: chi perde avrà 278 seggi. Si avranno rappresentanti anche con solo il 3% dei voti. Consideriamo che in Gran Bretagna, culla della democrazia, lo Ukip con il 14% dei voti ha un solo eletto e che in Francia il Front National con il 30% è ultimo a causa dei collegi uninominali. In Italia chi avrà il 25-30% dei voti al primo turno, con il 50% più 1 al secondo, avrà la possibilità di governare. Si attua la teoria democratica delle prime preferenze, si vota il partito che ci piace di più e delle seconde preferenze, si vota quella lista che ci dispiace di meno. È un sistema più democratico di quello inglese perché consente all’elettore due preferenze.

 

Cosa diventa decisivo con questo sistema elettorale?

La scommessa sarà la partecipazione elettorale al secondo turno. In Francia gli elettori vanno a votare al secondo turno perché sanno che sono decisivi. Se non vai a votare, peggio per te, in altri termini. Sulla questione dei cosiddetti nominati bisogna precisare che chi vince avrà 100 capilista decisi dai partiti e ben 240 da preferenze. Nel 2013 i nominati erano ben più di 100. Non dimentichiamo poi che il voto di preferenza è inquinabile come abbiamo visto alle regionali in Lombardia.

 

Quali sono gli elementi di garanzia assicurati dalla riforma costituzionale?

La riforma costituzionale non tocca minimante la prima parte e i poteri di presidente del Consiglio, del presidente della Repubblica e della Corte costituzionale. Il premier non potrà licenziare un ministro. Il presidente della Repubblica sarà eleggibile con i 3/5 dei votanti alle ultime politiche, pari al 60% dei voti. Non potrà essere eletto senza l’opposizione e nominerà 5 su 15 giudici costituzionali mentre altri 5 lo saranno ad opera della magistratura. Ci sono i contrappesi. Ripeto: altro che deriva autoritaria! La riforma del Senato ci consente di passare dal bicameralismo paritario a uno asimmetrico ma solo la Camera darà la fiducia al governo e approverà la stragrande maggioranza delle leggi. Il processo legislativo è semplificato. Solo in poche materie potrà intervenire il Senato e con tempi determinati e senza veti. Su 28 paesi Ue in 15 non c’è il Senato. L’elezione diretta solo in 5. Su questo punto si poteva fare meglio ma guardiamo all’essenziale.

 

Ad esempio?

Ad esempio la corsia preferenziale prevista per i disegni di legge del governo come in tutta Europa limitando la decretazione d’urgenza e il rafforzamento degli strumenti di democrazia diretta con proposte di legge di iniziativa popolare obbligatoriamente discusse con 150 mila firme e l’introduzione di un nuovo tipo di referendum con 800 mila firme, con abbassamento del quorum al 50 più 1 dei votanti alle ultime elezioni politiche, pari a circa il 37%.

 

Un giudizio molto positivo il suo…

Certo, non esistono riforme perfette, ma questa ci fa fare un passo avanti verso la governabilità in una fase di grande instabilità politica ed economico-sociale. La riforma complessiva mette il governo del Paese nelle mani degli elettori decidendo chi sarà il presidente del Consiglio pur rimanendo un sistema formalmente parlamentare, mettendo poi il governo in condizione di governare. Il presidente scelto dagli elettori tuttavia potrà essere sfiduciato. Il vincitore sarà un partito e non una coalizione come dal 1946. Questa la vera novità. Un salto non nel buio ma a un sistema di governo monopartitico e non di coalizione prima o dopo il voto, mentre la democrazia partecipativa sarà rafforzata da nuovi strumenti in un quadro di democrazia decidente.

 

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