Una brusca accelerata sul divorzio breve
Un tema delicato come quello della dissoluzione di un nucleo familiare, che è poi il fallimento di un progetto di vita, merita di essere affrontato con la giusta attenzione tenendo conto di tutti gli interessi, non solo economici, in gioco.
La brusca accelerazione che si è voluto dare alla riforma temporale dell’istituto del “divorzio” nel senso della abbreviazione dei termini per proporlo dopo la separazione (attualmente tre anni dalla comparizione dei coniugi davanti al Tribunale per la separazione), non appare significativamente motivata.
Sembra quasi che, riducendo il tempo di riflessione a disposizione dei coniugi separati e in attesa di “divorzio” si sia risolto l’annosa questione dei ritardi e dell’ingolfamento della giustizia civile.
Nel caso del “divorzio”, ribadiamo non sono in gioco solo interessi economici, bensì della vita e del futuro di un uomo e di una donna e spesso delle creature che da tale unione sono nate.
Ci si sarebbe aspettato che nella fase istruttoria e progettuale fossero maggiormente coinvolte le famiglie che attraverso le loro associazioni rappresentano un vero e proprio osservatorio.
Così non è stato ma ora è auspicabile, così come proposto dal Forum delle Associazioni Familiari, che vengano adottate, dinanzi al Senato, degli emendamenti che migliorino il provvedimento in esame che, così com’è, sembra introdurre un freddo iter burocratico.
Sarebbe necessario che i coniugi siano sempre accompagnati, allorché si manifesta una conflittualità, da esperti in possesso della necessaria formazione umana e professionale.
A questo proposito che fine ha fatto il progetto dei Tribunali della Famiglia che prevedeva anche la mediazione familiare?
Nella mia esperienza professionale spesso, al termine dell’ascolto di due coniugi (sempre opportuno quando possibile), mi sono ritrovato a chiedere perché ritenessero le loro difficoltà insormontabili e non piuttosto un passaggio fisiologico nella vita di coppia superabile con l’ascolto, la riscoperta delle radici del rapporto e, soprattutto, riscoprendosi ogni giorno nuovi.
Mi sembra di cogliere allora in queste coppie una sorte di rifiuto o almeno una difficoltà comunicativa che si traduce in una apodittica affermazione ”non andiamo più d’accordo” e quindi ci “lasciamo”.
A queste difficoltà si può e si deve offrire una possibile via d’uscita rappresentata dalla messa in campo di tutta una serie di servizi di accompagnamento alle coppie separate o in procinto di separarsi con la consapevolezza che un matrimonio che fallisce rappresenta un “vulnus” per la coppia, per i loro figli, ma anche per l’intera società.
Dunque non è necessario aver fretta nella emanazione della nuova normativa in tema di “divorzio” che non pare rappresenti una vera priorità per la maggioranza dei cittadini.
Più saggio sarebbe accedere a una riflessione più matura che consenta di esaminare un provvedimento legislativo che operi in funzione preventiva, ove possibile, e in funzione conclusiva, solo ove necessario.