Una battaglia per l’Europa
La morte dell’euro preannunciata più dagli analisti e dai media che dagli Stati dell’Unione richiede di ripensare seriamente ai vantaggi della moneta unica. Monti li ricorderà alla Merkel e a Sarkozy
Dopo secoli di conflitti e due guerre tragiche mondiali, gli stati europei hanno potuto godere sessantasei anni di pace e sviluppo grazie alla Comunità Europea, l’ambito in cui essi riescono ad armonizzare gli interessi comuni, a sanare sul nascere le difficoltà di rapporto, a condividere le migliori istituzioni e regole di convivenza: un successo mai ottenuto prima nella storia dell’uomo, che ha portato i paesi confinanti un po’ alla volta, pur di esservi anche essi ammessi ad essere disponibili a modificare le loro leggi ed istituzioni quando non compatibili con i principi europei.
Dieci anni fa un primo gruppo di paesi della comunità ha deciso di dotarsi di una moneta unica, e ben presto l’euro si è dimostrato capace di diventare una seconda moneta rifugio e bilanciare il potere del dollaro, di cui dopo trent’anni dalla caduta della sua convertibilità in oro, è stato possibile misurare l’effettivo traballante valore.
Ultimamente, in particolare da quando la crisi finanziaria si è spostata dagli Stati Uniti all’Europa, si stanno moltiplicando i gruppi di esperti americani che senza che ve ne sia alcuna concreta motivazione danno l’euro in via di estinzione: annunci che non rimangono senza effetto, in una società dell’informazione in cui una notizia spesso ripetuta più volte diventa vera. L’Europa può e deve reagire con i fatti, vanificando la speranza delle grandi banche americane che vorrebbero tornare alla cuccagna di quando potevano impunemente creare ricchezza (non per tutti ma per loro) semplicemente vendendo pezzi di carta, perché l’euro non esisteva.
In questo frangente, il primo ministro Monti, ricco dell’esperienza di anni spesi a costruire l’organismo europeo, sta rivelandosi lo statista europeo che più di tutti ha a cuore l’Europa e si sta muovendo in modo che essa si consolidi, non solo come entità economica, ma anche come importante presenza politica fatta di paesi, tutti con uguale dignità ed importanza.
Dopo aver convinto gli italiani ad accettare di far la loro parte, adesso può chiedere altrettanto soprattutto a chi ha avuto grandi vantaggi dalla moneta unica e cioè la Germania. Basta vedere il grande numero di auto costruite da case tedesche posteggiate nelle nostre strade, vetture scelte per il loro rapporto qualità/prezzo, che sarebbe molto meno favorevole senza la moneta unica.
Il vantaggio tedesco di partecipare all’euro sta nel poter considerare tutta l’Europa come mercato interno e proporre i propri prodotti spiazzando la concorrenza. Il vantaggio dei paesi, come il nostro, è stato quello di disporre di credito a tasso ridotto, che negli ultimi dieci anni si sarebbe dovuto utilizzare per ridurre il debito pregresso, non per indebitarci di più come abbiamo fatto. Se il vantaggio del credito conveniente venisse meno, questi paesi non avrebbero più convenienza a rimanere nell’euro e se ne uscissero svanirebbero anche i vantaggi dell’economia tedesca e l’Europa avrebbe perso l’occasione di avere un ruolo nel mondo, nell’epoca dell’affacciarsi alla storia di altre grandi entità politiche.
Oggi il ministro Monti ricorderà certamente questi aspetti alla cancelliera Merkel, dopo averli evidenziati già al presidente Sarkozy e al primo ministro inglese Cameron. Perché i debiti ed i conti della Gran Bretagna non sono migliori dei nostri: anche i titoli inglesi possono finire nella speculazione, pur essendo più al sicuro perché in buona parte posseduti dagli inglesi.
Avendo dimostrato che l’Italia fa sul serio, Monti adesso chiede alla Germania di attenuare le condizioni che ha posto ai paesi in difficoltà per garantire i prestiti – bilancio in pareggio e forte riduzione del debito -, tutti sanno che per mettere un debitore in condizione di restituire, bisogna che lo si lasci vivere e produrre ricchezza, non disordini sociali.
E se l’azione di Monti non riuscisse? Per altri paesi meno abbienti sarebbe una tragedia, ma per l’Italia vi sarebbe una via di uscita dall’alto spread rimanendo nell’euro ed investendo per uscire dalla disoccupazione e dalla recessione. Invece di emettere costosi titoli di stato, nei prossimi mesi si dovrebbe chiedere al dieci per cento delle famiglie italiane più abbienti di sottoscrivere i titoli di un Fondo Immobiliare incaricato di acquistare dallo stato beni pubblici non utilizzati e non di interesse comune, col compito di rivenderli a privati, o nuovamente allo stato fra cinque anni.
Il conseguente ridursi dello spread andrebbe a vantaggio dell’economia generale ed anche delle famiglie stesse, che in questi due anni hanno visto ridurre il valore dei loro titoli ed immobili molto di più di quanto avrebbe potuto incidere una tassa patrimoniale. E’ il mercato a aver messo le mani nelle loro tasche. Non va però trascurato che una delle cause dell’alto spread per i titoli italiani anche con un Paese dai conti a posto, nasce dalla sfiducia internazionale nel futuro dell’Italia, cioè di quando le decisioni del governo torneranno nelle mani dei partiti, che in passato, attente più agli interessi dei loro elettori che non al bene comune, hanno dimostrato di non essere in grado di prendere le decisioni necessarie.
In questo anno di tregua la politica deve trovare nuove soluzioni, inventare nuovi partiti o nuove aggregazioni in grado di esprimere i cittadini senza essere condizionata pesantemente da interessi di potenti minoranze o di ancor più potenti aggregazioni di interessi.