Una battaglia da non sottovalutare
Si celebra il 6 febbraio la giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili. Un'occasione per ricordare la campagna portata avanti da Amnesty International in Europa
Non è un fenomeno confinato al di là del Mediterraneo: le mutilazioni genitali femminili, nelle loro quattro versioni più o meno gravi, si stima tocchino mezzo milione di donne anche in Europa, di cui 35 mila in Italia. Non sono solo le immigrate ad essere sottoposte al tremendo rito di passaggio all’età adulta prima di lasciare il proprio Paese, ma anche bambine che si trovano a subirlo magari durante le vacanze estive nelle loro terre d’origine. Per questo Amnesty International ed altre associazioni, in occasione della giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili che si celebra il 6 febbraio, intensificano la campagna End FGM (Poni fine alle mutilazioni genitali femminili) e spingono le istituzioni europee ad intervenire in questa battaglia.
Cinque le richieste rivolte a Bruxelles: promuovere la raccolta di dati attendibili sul fenomeno – attualmente si tratta soltanto di stime, poiché le donne stesse sono restie a parlarne –, fornire servizi sanitari adeguati a chi le ha subite – in primo luogo attraverso la formazione dei medici –, inserire le mutilazioni genitali nell’elenco degli atti di violenza contro le donne con la tutela legislativa che ne consegue e infine garantire la protezione internazionale alle donne che fuggono dai loro Paesi per evitarle, e avviare un dialogo con questi Stati.
Anche se alcuni dei 27 membri della Ue – la Svezia per prima – hanno reso penalmente perseguibili le mutilazioni, Amnesty lamenta la mancanza di un’azione europea unica e coerente nonostante la Commissione si sia impegnata in tal senso sin dal 2010: un primo passo comune potrebbe essere la ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa contro la violenza sulle donne.
L’Italia non ha ancora aderito, nonostante nel nostro Paese sembri esserci una maggiore sensibilità rispetto ad altri: delle 42.446 firme raccolte per la campagna, ben 13 mila vengono dal nostro Paese, che stacca nettamente i partner europei (al secondo posto c’è il Regno Unito, con poco più di 2 mila). Inoltre già l’organizzazione Non c’è pace senza giustizia, il partito Radicale con Emma Bonino e il ministero delle Pari opportunità con Mara Carfagna avevano lanciato una campagna sin da 2008, un anno prima di Amnesty.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) riconosce vari tipi di mutilazioni genitali femminili: la circoncisione, l’escissione,l’infibulazione e altri interventi legati più ad una cultura che ad una pratica religiosa. Quello che le accomuna, oltre al dolore, all’impossibilità di provare piacere sessuale e a un’alta incidenza della mortalità al momento del parto, è la cicatrice indelebile che lasciano nelle donne che le subiscono: il sito della campagna raccoglie diverse testimonianze in proposito, dalle quali emerge come proprio dalle donne può partire la lotta contro questa pratica: spesso sono infatti le madri a salvare le proprie figlie da un simile destino, che secondo l’Oms si abbatte su circa 3 milioni di bambine e ragazze ogni anno. Bambine che, si ritiene, non troveranno marito e rimarranno ai margini della società a meno di non essere sottoposte a questo rito che ne garantisca la “purezza”. Per questo, osserva Amnesty, la battaglia più importante da portare avanti non è a livello legislativo, ma prima di tutto culturale, nei Paesi e tra le comunità dove le mutilazioni vengono praticate: soprattutto in Egitto, Sudan e nel Corno d’Africa, dove si stima che coinvolga quasi la totalità delle bambine; ma anche nel resto dell’Africa Subsahariana,. Ora con l’emigrazione, la pratica va diffondendosi in tutto il mondo.
Cinque le richieste rivolte a Bruxelles: promuovere la raccolta di dati attendibili sul fenomeno – attualmente si tratta soltanto di stime, poiché le donne stesse sono restie a parlarne –, fornire servizi sanitari adeguati a chi le ha subite – in primo luogo attraverso la formazione dei medici –, inserire le mutilazioni genitali nell’elenco degli atti di violenza contro le donne con la tutela legislativa che ne consegue e infine garantire la protezione internazionale alle donne che fuggono dai loro Paesi per evitarle, e avviare un dialogo con questi Stati.
Anche se alcuni dei 27 membri della Ue – la Svezia per prima – hanno reso penalmente perseguibili le mutilazioni, Amnesty lamenta la mancanza di un’azione europea unica e coerente nonostante la Commissione si sia impegnata in tal senso sin dal 2010: un primo passo comune potrebbe essere la ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa contro la violenza sulle donne.
L’Italia non ha ancora aderito, nonostante nel nostro Paese sembri esserci una maggiore sensibilità rispetto ad altri: delle 42.446 firme raccolte per la campagna, ben 13 mila vengono dal nostro Paese, che stacca nettamente i partner europei (al secondo posto c’è il Regno Unito, con poco più di 2 mila). Inoltre già l’organizzazione Non c’è pace senza giustizia, il partito Radicale con Emma Bonino e il ministero delle Pari opportunità con Mara Carfagna avevano lanciato una campagna sin da 2008, un anno prima di Amnesty.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) riconosce vari tipi di mutilazioni genitali femminili: la circoncisione, l’escissione,l’infibulazione e altri interventi legati più ad una cultura che ad una pratica religiosa. Quello che le accomuna, oltre al dolore, all’impossibilità di provare piacere sessuale e a un’alta incidenza della mortalità al momento del parto, è la cicatrice indelebile che lasciano nelle donne che le subiscono: il sito della campagna raccoglie diverse testimonianze in proposito, dalle quali emerge come proprio dalle donne può partire la lotta contro questa pratica: spesso sono infatti le madri a salvare le proprie figlie da un simile destino, che secondo l’Oms si abbatte su circa 3 milioni di bambine e ragazze ogni anno. Bambine che, si ritiene, non troveranno marito e rimarranno ai margini della società a meno di non essere sottoposte a questo rito che ne garantisca la “purezza”. Per questo, osserva Amnesty, la battaglia più importante da portare avanti non è a livello legislativo, ma prima di tutto culturale, nei Paesi e tra le comunità dove le mutilazioni vengono praticate: soprattutto in Egitto, Sudan e nel Corno d’Africa, dove si stima che coinvolga quasi la totalità delle bambine; ma anche nel resto dell’Africa Subsahariana,. Ora con l’emigrazione, la pratica va diffondendosi in tutto il mondo.