Un voto di fiducia amaro
Chiunque nella vita abbia avuto modo di mettere bene a fuoco la differenza tra comunione e confusione, prova un senso ben preciso di amaro in bocca all’esito del voto sulla fiducia al governo, nell’aula del Senato. Seppur con fatica, si erano poste le premesse per un chiarimento politico nel partito di Silvio Berlusconi, un passaggio doloroso, ma probabilmente necessario per la incompatibilità delle posizioni emerse, una volta di più, nelle ultime giornate all’interno del Pdl. Non è solo questione di “falchi” e “colombe” relativamente alla difesa – sempre strenua – del leader ritenuto sotto attacco, ma di culture politiche.
Ma perché mai il Pdl si sarebbe dovuto dividere? Per fare un piacere alla sinistra? No di certo. La nascita di un centro-destra “moderato”, “europeo”, affidabile ecc. ecc., è auspicata da più parti e probabilmente non senza ragione.Tant’è che si è profilata la inusitata presa di posizione di parte del gruppo dirigente (più precisamente, dei ministri in carica) del Pdl, attorno alla quale si era venuto coagulando un gruppo di parlamentari: al Senato, un vero ago della bilancia. Il distacco da Berlusconi e dalle sue mosse estreme (invito alle dimissioni di tutti i parlamentari prima e dei ministri poi), nel suo tragico prezzo del parricidio, doveva avere la portata di una nascita. Travaglio, doglie…, ma alla fine il vagito.
Questo non è accaduto, e non solo per l’abilità di Silvio Berlusconi di rimettersi in gioco, rovesciando il voto del gruppo parlamentare e annunciando la conferma della fiducia al governo. Probabilmente è mancata la statura che il momento storico richiedeva: da parte di coloro che nel Pdl hanno percepito la necessità della chiarezza; e da parte del presidente Letta, al quale in questa circostanza non era richiesto un discorso da larghe intese, bensì, come dire, da profonda fiducia. Un discorso che sostenesse le scelte. Rischioso, ma che contribuisse alla nascita di un governo dalla autentica comunione di intenti. Invece è venuta fuori la confusione di intenti.
Prova ne è il tentativo di rendere più netti i contorni politici del governo nell’intervento che il presidente del Consiglio ha tenuto alla Camera, ma ormai il dado era tratto. Con ogni probabilità i gruppi parlamentari annunciati dai dissidenti del Pdl nasceranno: alla Camera senz’altro, al Senato chissà; in ogni caso difficilmente vedranno la presenza di personalità di peso (Alfano, Lupi, Quagliariello…), che avrebbero conferito robustezza politica all’operazione, che altrimenti rischia di essere derubricata a scilipotismo: maggioranza numerica, ma non politica. Speriamo ovviamente che non sia così. Staremo a vedere.
I. M.