Un voto in attesa di candidati credibili
È ormai superata, con domenica 21 gennaio, una delle scadenze che segnano il percorso di formazione delle liste che il 4 marzo avranno un posto nella scheda elettorale, quella per la presentazione dei simboli, accompagnati dal programma, dall’indicazione del capo politico e dallo statuto (o, in mancanza, da una dichiarazione di trasparenza).
Una tappa importante, quindi, che sarà seguita da quella della definizione delle candidature tanto nei collegi uninominali quanto nelle liste proporzionali, il prossimo fine settimana del 27-28 gennaio. Anche stavolta c’è stata la corsa alla presentazione di un simbolo da parte di soggetti variegati e fantasiosi: 103 in tutto, che se volessero davvero partecipare dovrebbero affrontare la raccolta di firme su tutto il territorio nazionale: cosa del tutto improbabile per la maggior parte di esse. Ma in settimana vedremo chi fa sul serio. Per adesso è stato finalmente messo il punto sulle alleanze.
Confermata la composizione del centro-destra, composto da Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Noi con l’Italia, la “quarta gamba” centrista. Rimane fuori Energie per l’Italia: è notizia dell’ultim’ora che Stefano Parisi sfiderà Zingaretti nel Lazio, mentre gli animalisti di Vittoria Micaela Brambilla e Rivoluzione cristiana di Rotondi parteciperanno al progetto integrati nelle fila di Forza Italia (tradotto: avranno dei seggi in quella lista). La particolarità di questa compagine è l’aver steso un programma comune, presentato da FI, Lega e FdI: una scelta che accredita il raggruppamento di un’intenzione unitaria che manca a quello di centro-sinistra.
Intorno al Partito Democratico si sono raccolte infine tutte e tre le liste che ci si attendeva: Civica Popolare di Beatrice Lorenzin, Insieme dei verdi e socialisti e Più Europa di Emma Bonino e Bruno Tabacci, ognuna delle quali ha presentato un programma proprio, come peraltro prevede la legge. Oltre alle questioni relative alla fattibilità dei programmi, bisogna anche avere un occhio alla loro conciliabilità all’interno dello stesso raggruppamento, cosa non scontata neppure per il centro-destra.
Al di là dello sforzo di programma condiviso, infatti, l’impianto proporzionale della legge elettorale del rosatellum fa sì che le liste debbano distinguersi per racimolare quanti più voti possibile, fino a sconfinare nella competizione interna. Questo tra Berlusconi e Salvini è evidente: nella stessa giornata, quindi, vediamo l’immagine del primo con Juncker e sentiamo dire dal secondo che “il vincolo del 3 per cento per noi non esiste”. Il Pd ha meno interesse ad attaccare gli alleati, che sono piccoli e non lo insidiano; anzi, ha un certo interesse a che si avvicinino al 2,9%, perché fino a quella percentuale i loro voti si sommeranno ai propri, come sappiamo.
Il M5S, “nemico” comune, ha presentato il programma approvato dagli iscritti sulla piattaforma Rousseau: 20 punti che richiederebbero (al pari della introduzione della flat tax) un rovesciamento del bilancio pubblico. Ancora si attende di conoscere i 100 punti annunciati da Renzi e curati direttamente dall’economista Nannicini, mentre Liberi e Uguali incentra tutto sul lavoro “vecchia maniera”, col ripristino dell’art. 18 e la guerra al precariato.
In generale, tira un’aria da “cosa non si farebbe per”… prendere qualche voto. Vogliamo parlare della tutela della razza bianca sfuggita al leghista Fontana, candidato presidente della Regione Lombardia? Lo stesso, dopo le scuse, ha sottolineato che quell’uscita gli ha dato “fama e consenso”. Ma sono giustificabili con una tale regressione verso posizioni inconciliabili con l’abc dell’umanità?
È il caso di mandare ai politici un messaggio chiaro: ci aspettiamo da loro una sana leadership, una visione, uno stimolo a tirar fuori la parte migliore di noi, non una followship, la sequela delle mozioni istintuali che albergano in ogni società. Sarà per questo che l’annuale Rapporto Demos su “Gli Italiani e lo Stato” definisce il nostro un “Paese senza”? Senza Stato e senza politica. Di nuovo, si certifica il crollo di fiducia nelle istituzioni, nei partiti e nei politici, che si porta dietro i dubbi sulla democrazia: in 10 anni la percentuale di coloro che pensano che la democrazia sia preferibile a ogni altra forma di governo, sono passati dal 72 al 62%, un dato che diventa inquietante se si accosta a quello per il quale 2 persone su 3 pensano sia necessario l’uomo forte al governo.
Del resto, la ong Oxfam anche quest’anno ci informa che la ricchezza nel nostro Paese è distribuita in maniera intollerabilmente diseguale: il 20% dei più ricchi ne possiede il 66%, il 20% della classe media il 18,8% mentre al restante 60%, i più poveri, resta il 14,8%. Quanto preoccupano queste cifre i nostri politici? Abbiamo tutta la campagna elettorale per compiere questa valutazione.