Un Volto che risana

Il celebre Sudario della Veronica, già custodito nella basilica Vaticana e scomparso da secoli, andrebbe identificato nella  misteriosa immagine che si venera a Manoppello?
Manoppello

Dire Manoppello è come dire Volto Santo. Infatti questa cittadina abruzzese al margine nord del Parco nazionale della Majella il cui nome indica la fertilità di questa terra (dal “manoppio”, ossia la quantità di grano che può essere contenuta tra le braccia) è famosa per la reliquia che si venera nel suo santuario francescano: un velo con impressa l’immagine del volto di Cristo, un Cristo vivo dallo sguardo mite e penetrante e dalle labbra socchiuse, tumefatto per le percosse ricevute durante la sua passione.

 

Sono trascorsi poco più di 500 anni dacché questo tessuto di soli centimetri 17 per 24  è arrivato qui, stando alla Relatione Historica del frate cappuccino Donato da Bomba. Questi racconta che in un imprecisato giorno del 1506 un misterioso pellegrino, recante con sé un involto, giunse a Manoppello e, accostatosi al dottor Giacomantonio Leonelli, persona colta e stimata, lo invitò a seguirlo all’interno della chiesa parrocchiale intitolata a san Nicola di Bari. Qui gli consegnò il prezioso velo, alla vista del quale Leonelli rimase di stucco. Quando fece per ringraziare il donatore, non lo vide più: era scomparso senza lasciare traccia.

 

Il Leonelli ripose l’immagine in luogo decoroso, dove fu conservata fino al 1608. In seguito, essa sostò per 10 anni nella casa di un militare, tale Pancrazio Petrucci, e altri 20 in quella del dottor Donatantonio De Fabritiis, finché nel 1648 fu da questi donata ai frati cappuccini con un atto notarile, e quindi collocata in questo santuario più volte ingrandito e ristrutturato nel corso dei secoli, la cui moderna facciata si ispira a quella della basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila.

 

Significativa la descrizione del sacro Velo riportata nell’atto notarile (qui in una traduzione settecentesca dal latino): «Nella fattezza non si vede arte e industria umana di sorte alcuna; ella non è tocca da pennello alcuno; non vi sono acquette, né colori che gli Pittori sogliono usare nelle loro pitture. Mostra l’effigie dell’una e dell’altra parte un Velo sottile e dilicato, per la sua tessitura molto rara, lenta e larga e trasparente».

 

In effetti, recenti studi scientifici (di cui si dà conto in una mostra permanente all’interno del santuario) hanno accertato su quel velo di finissimo bisso – una fibra ricavata da alcuni molluschi – l’assenza di residui o pigmenti di colori. Altre particolarità: l’immagine, visibile in modo identico da ambedue le facce, svanisce se attraversata posteriormente dalla luce, come se la teca che la conserva non contenesse nulla. Da analisi comparative con la Sindone di Torino risultano inoltre dieci punti di concordanza fra i tratti somatici dei due volti, che la tradizione cristiana identifica con quello di Cristo.

 

Per saperne di più, rimando ad un recente libro di Saverio Gaeta, L’enigma del volto di Gesù, edito da Rizzoli, che ricostruisce la storia romanzesca di questa reliquia, da qualcuno ritenuta il celebre Velo della Veronica conservato per secoli nella basilica di San Pietro, dove veniva presentato alla venerazione dei fedeli in occasione degli Anni Santi, ma non più esposto dopo il 1601, forse a motivo di un furto mai ufficialmente ammesso.

 

Dal 2007, in occasione dell’Anno giubilare concesso da papa Benedetto XVI per commemorare il 500° anniversario dell’arrivo a Manoppello del Volto Santo, il santuario è stato arricchito con tre moderne porte bronzee dello scultore abruzzese Osvaldo De Fabiis. Quasi una introduzione a ciò che i visitatori contempleranno all’interno, la serie di formelle accosta alla narrazione figurativa dei principali eventi ricordati nella Relatione la riflessione personale dell’artista sui temi della resurrezione e della ricerca spirituale dell’uomo d’oggi, attratto da quel Volto tumefatto come da una presenza amica, da un “tu” reale in cui rispecchiarsi per esserne risanato.

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