Un vertice per imparare dalle vittime
Si conclude oggi il Primo vertice mondiale umanitario promosso dalle Nazioni Unite a Istanbul. Anche la Santa Sede vi ha aderito ed è rappresentata, al massimo livello, dal segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin. All’ultimo momento Medici senza frontiere, tra le ong più importanti al mondo, si è ritirata, perche il summit «è diventato una foglia di fico, fatta di buone intenzioni, che consente a queste sistematiche violazioni, in primo luogo da parte degli Stati di essere ignorate».
Il convegno di Istanbul sta a indicare una centralità del Mediterraneo e del Medio Oriente di fronte e dentro il vertice. Non possiamo dimenticare la Prima guerra del Golfo, iniziata nel 1991 e che ha aperto voragini politiche, culturali e umanitarie di dimensioni incalcolabili. La Seconda guerra del Golfo, iniziata nel 2003, e ancora oggi in atto, ha scatenato dentro la guerra il terrore e il terrorismo.
Ci sono le tre guerre di Gaza, del 2008/9 che ancora oggi lasciano segni di distruzione imponenti e che imprigionano tutti dentro una cultura della violenza che cattura i cuori di molti. C’è poi la guerra di Libia, voluta dall’Occidente, sperando di guadagnare dal petrolio libico, cancellando un leader scomodo come Gheddafi. Il disastro umanitario e politico è di fronte agli occhi di tutti. E poi la guerra di Siria, che ha prodotto due tipi di vittime: i profughi e i rifugiati, che sono arrivati fino da noi, e poi coloro che sono rimasti dentro il Paese, perché senza soldi, senza salute, senza futuro. Davvero gli ultimi degli ultimi.
Pare difficile in due giorni risolvere tutto. Capiamo le ong che temono la trappola della strumentalizzazione o peggio di essere al guinzaglio degli interessi degli Stati forti, che hanno finanziamenti per rimettere in piedi quello che hanno distrutto.
Seguiamo con grande interesse il vertice, senza trionfalismi ma con grande attenzione, perché bisogna sostenere ogni sforzo che sia capace di rimettere in piedi. Si deve sempre credere ad un'azione umanitaria, che si trasformi in cultura della riconciliazione.
Bisogna avere visione e cultura, non bastano solamente medici, pur necessari, e aiuti pur decisivi. Bisogna toccare la vita e il cuore delle persone, mettendo al centro la vita dei più piccoli. Bisogna convertire il cuore duro della politica, che alla fine giustifica sempre la violenza.
Se prendiamo ad esempio la questione israelo-palestinese, e cito un caso nel quale sono stato implicato petsonalmente, la Regione Toscana ha partecipato a un progetto che in dieci anni ha curato circa diecimila bambini, mille all’anno. Ma in questo modo è come cresciuta una nuova cultura della riconciliazione, che ha reso consapevoli gli israeliani della sofferenza senza limiti dei palestinesi e i palestinesi della ricerca di sicurezza degli israeliani. In questo modo gli uni camminano verso gli altri. Si abbatte la malattia delle malattie, che è l’odio, e la si cura alla radice, mettendo al centro i bambini che hanno bisogno di interventi medicali e di medicine per vivere. Tutti sono chiamati a cambiare secondo la cultura dell’incontro e della riconciliazione.
Un'ultima considerazione. Abbiamo ascoltato e letto in questi giorni di grandi leader politici che hanno riconosciuto i loro errori, le loro guerre come grandi errori. Basti pensare all'intervista di Obama, in cui fa autocritica sulla guerra in Libia e sulla guerra in Siria. Questi errori hanno avuto un prezzo incalcolabile in termini di vite umane, di civili e innocenti uccisi. Se il vertice vuole evitare la retorica dei professionisti della politica e in subordine dell’umanitario, la questione della pace deve essere al primo posto. Va dichiarata l'abolizione della guerra. Va fermato il traffico delle armi e i finanziamenti del terrorismo e del terrore, mettendo al centro azioni e parole di riconciliazione.
Non solo parole (la retorica), non solo azioni (i professionisti dell’attivismo, che spesso è funzionale alla sopravvivenza del mondo delle ong), ma insieme parole e azioni, e al tempo stesso azioni e parole. Così nasce il seme nuovo della riconciliazione. Il papa nel suo messaggio al vertice, si è espresso così: «Oggi vorrei proporre una sfida a questo vertice: ascoltiamo il grido delle vittime e di coloro che soffrono. Lasciamo che ci diano una lezione di umanità. Cambiamo i nostri stili di vita, le politiche, le scelte economiche, i comportamenti e gli atteggiamenti di superiorità culturale. Imparando dalle vittime e da chi soffre saremo in grado di costruire un mondo più umano.
Ecco la prospettiva di papa Francesco: le vittime come i veri costruttori e facitori della pace; non l’alta finanza, non l’alta politica, non i generali, ma le vittime. Una grande rivoluzione culturale e spirituale davanti a noi e dentro di noi.