Un uomo sincero

È Giorgio Marchesi, attore poliedrico. Al cinema con “Romanzo di una strage”, di Giordana. In tivù con “Una grande famiglia”.
Giorgio Marchesi

Trentasette anni, sguardo diretto e amichevole. Giorgio, bergamasco doc, racconta di sé, nella piccola casa romana. Con Simonetta Solder, attrice sensibile, e Giacomo, sei anni. Giorgio cresce con un fratello maggiore di due anni, papà con un’azienda d’impianti di riscaldamento e mamma assistente sanitaria, disponibile agli altri. Studio, calcio all’oratorio, capitano della squadra di quartiere. Molta predisposizione a mascherarsi, a fare imitazioni. Ribellione giovanile negli anni dello scientifico: ama i geni maledetti degli anni Sessanta-Settanta, come Jim Morrison. Una passione rimasta. E lavoro, durante l’estate, per comprarsi lo scooter o pagarsi le ferie. Uomo di fatica nell’azienda di papà o in cantiere con i muratori: «Gente che ti insegna la vita».
 
A 18 anni, la scomparsa di tua madre.
«Ne riparlo volentieri, anche perché un’intervista recente ha esasperato purtroppo quest’argomento delicato per fini scandalistici, cosa che mi ha molto ferito. La verità è che oggi, quando penso a mia madre, mi spunta un sorriso. Ne ho sentito parecchio la mancanza, ma per anni non ne ho parlato: mi vergognavo a far vedere agli altri che soffrivo. Sono scappato dal dolore. L’ho ritrovato poi, a Londra, parlandone con un’amica: improvviso, forte. Ora, ho il ricordo di una persona straordinaria. Sono stato fortunato ad averla vicina per 18 anni. Con la sua morte credo sia finito un ciclo della mia vita. Come pure dopo un grave incidente in macchina durante il militare».
 
A 22 anni, vai a Londra, a cambiare aria.
«Un nuovo mondo, dove ho fatto di tutto: mi è servito. Una sera, mentre sto bevendo una birra al pub, scopro un teatro: 200 posti, venti spettatori, un attore che in un inglese strettissimo fa tre personaggi. Mi affascina. Torno in Italia, vado a Padova, mi iscrivo ad una scuola di teatro. Comincio a vedere decine di film, a studiare testi, cerco di intuire nelle battute il gioco delle parti. Un periodo che mi riempie la vita. Prima stavo solo con gli amici, andavo a ballare, alla partita. Un maestro come Roberto Innocente mi fa quasi da padre, lavoro con l’associazione “Belteatro”.
«Debutto con Arlecchino servitore di due padroni. Tanta ansia, ma funziona. Resto con la compagnia. Facciamo spettacoli – montiamo e smontiamo tutto da noi: una fatica! – nel Veneto e in Friuli. Mi piaceva portare il teatro nelle strade, far gioire la gente, i ragazzi delle scuole, anche per due soldi. Ma non mi basta. Mi iscrivo a Milano ad una agenzia di pubblicità, mi prendono. Poi scendo a Roma. Qui si fa il cinema: io voglio fare l’attore. Proviamo sei mesi, poi vediamo. Cambio case, conosco gente, lavoro e non lavoro… Nel 2005 le prime fiction: L’ultimo rigore e Un posto tranquillo 2 con Lino Banfi: un ruolo importante».
 
Nel 2004 arriva Simonetta…
«Provavamo Le relazioni pericolose. Mi colpisce: è intelligente, vitale, ironica. Ci frequentiamo. Alcuni mesi dopo andiamo a stare insieme, nel 2006 nasce Giacomo. Otto anni fa: un record per entrambi, credo. Ora è un momento felice. Certo, il lavoro ci porta ad essere distanti – facciamo chilometri pur di ritrovarci – e un bambino ti cambia la vita, vorremmo più tempo per noi. Io sento molto la famiglia, la condivisione. Perciò, stiamo sfruttando meglio il tempo che abbiamo, senza spaventarsi delle difficoltà. Sto anche imparando ad essere un po’ romantico: un giorno, dopo una discussione con Simonetta, sono tornato a casa con un fiore per lei!».
 
Cinema e televisione ti hanno reso popolare. Che effetto ti fa?
«Sento una grande responsabilità verso il pubblico: ora sto girando la nuova serie del Medico in famiglia. La gente ti vuole bene: è come se tu le allietassi alcuni momenti. È un amore condizionato dal successo o meno, diverso da chi ti conosce da sempre, dagli amici, che mi commuove profondamente. Quanto al cinema, l’esperienza di interpretare Freda nel film di Giordana è stata importante: lui era un tipo freddo, al contrario di me. Ma non l’ho giudicato. Ho colto di lui la sicurezza, la leadership: aspetti che mi piacevano, in un film coraggioso, come dovrebbe essere il nostro cinema. Ammiro infatti valori come il lavoro, per prima cosa, l’onestà, la sincerità, la ricerca della giustizia.
«Girando Una grande famiglia, ho avvicinato dei bambini problematici: mi si è aperto un mondo. Credo dovremmo essere sempre sinceri con noi stessi, avere una buona dose di amore per gli altri e di contatto con qualcosa di superiore. Ogni tanto guardo in alto e dico: “Ti ringrazio!”. Dovrei far crescere, credo, la mia parte spirituale. E, da attore, trasmettere a chi mi vede una luce, un tocco, una curiosità. A me succede quando scatta una scintilla nell’incontro con qualcuno. Io vorrei dare alla gente questa scintilla».

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