Un superman dell’antichità

Ercole mangia e si riposa a Chieti. L’ininterrotta fortuna, fino ai nostri giorni, dell’eroe con la clava
Statua di Ercole in riposo

Trovarsi in Abruzzo e non visitare il Museo archeologico nazionale di Chieti, che ospita le più importanti collezioni di reperti portati alla luce nella regione, sarebbe una grave mancanza. Bellissimo l’edificio in stile neoclassico, fatto costruire dal barone Ferrante Frigeri e inserito nel verde della Villa comunale. Esemplare l’allestimento delle sale, realizzato nel 1984, che situa questo museo ai primi posti tra i musei italiani e lo rende rinomato anche all’estero. Ricchissime poi le collezioni, che comprendono bronzi, gioielli, vetri, avori, steli funerarie, oggetti di uso quotidiano, opere scultoree, epigrafi e corredi tombali dalle epoche protostoriche ai primi secoli dopo Cristo. Con reperti d’eccezione come il celebre Guerriero di Capestrano (stele funeraria italica della seconda metà del VI secolo a. C.), il letto funerario in osso di Collelongo o la collezione numismatica di circa 15 mila pezzi dal IV secolo a. C., al XIX secolo.

Per non smarrirsi in tanto ben di Dio, sposterò la mia attenzione su due opere soltanto, tra i pezzi più pregevoli del Museo, che raffigurano lo stesso personaggio: l’Ercole Epitrapezios (cioè banchettante) del I secolo a. C., proveniente da Alba Fucens, e l’Ercole in riposo di scuola lisippea, rinvenuto nel santuario di Ercole Curino sul monte Morrone, sopra Sulmona. L’eroe, figlio di Giove (Zeus) e di Alcmena, assurto agli onori divini dell'Olimpo, in queste opere così diverse (la prima, in marmo, è colossale; la seconda, un bronzetto di circa 39 centimetri) viene colto, probabilmente, mentre alla corte di Corono, re dei Lapiti, divora un bue intero; e d’altro canto (nel bronzetto), quando dopo aver conquistato le mele d’oro nell’Orto delle Esperidi si appoggia pensoso con la sinistra alla clava ricoperta dalla pelle di leone.

E qui sorge una riflessione. Non c’è dubbio che tra i personaggi della mitologia classica nessuno sia diventato più popolare di Ercole, l'Eracle dei greci derivato a sua volta dal Melqart fenicio. Se nell’antichità non c'era dimora pur modesta priva di una raffigurazione di questo campione più impulsivo e generoso che intelligente, a partire dalle trasfigurazioni poetiche di Ovidio e Virgilio fino al moderno culto del corpo e della forma fisica la sua figura ha lasciato una impronta indelebile nella cultura occidentale come quella di nessun altro.

Ercole è l'eroe per eccellenza: divino e umano al tempo stesso, forte, bello e virile. Precursore di Superman, impegnò la sua forza smisurata nel difendere i deboli e gli oppressi, nel punire l’ingiustizia e la violenza e nel compiere imprese utili agli uomini, e pertanto gratificato, fra gli altri titoli, con quello di “Soter”, salvatore. Se però, nelle celebri “fatiche”, trionfa sulle forze della natura e sulle potenze malefiche, appare anche nella sua vulnerabilità: cercatore tormentato di una irraggiungile felicità, vittima della facilità all'ira e di una follia causa di lutti e sofferenze, e infine avviato ad un tragico destino.

La storia ce ne ha restituito le immagini più svariate: raffigurato per millenni nella scultura e nella pittura, le sue gesta sono state narrate dalla letteratura, dal teatro e, più recentemente, dal cinema (si pensi ai tanti film del genere peplum e all'Hercules disneyano e di una famosa serie televisiva). Imperatori romani, principi rinascimentali e dittatori moderni, infine, hanno tentato in ogni modo di appropriarsi del simbolo che egli rappresenta.

Se esaminiamo le principali tappe della vita del nostro eroe, dalla nascita a Tebe, nascita subito insidiata dai serpenti mandati dall’implacabile nemica Giunone (Era), fino alla morte atroce tra le fiamme di una pira, a cui seguì l’apoteosi, tra questi due eventi assistiamo alla sua giovinezza macchiata – nei frequenti accessi d'ira – dal sangue del tutore Lino, della prima moglie Megara e dei figli; quindi alle dodici fatiche compiute per espiazione e alle successive spericolatezze, una volta sollevato dal fardello dei propri crimini.

Perduta purtroppo l'opera scritta al riguardo da Plutarco, il padre della biografa moderna, restano le due migliori fonti, rappresentate da Apollodoro e Diodoro Siculo; ed anche senza scorrere il catalogo completo dei tanti miti fioriti attorno al nostro, molte sono le sue avventure spesso dimenticate, ma che rivelano quanto egli sia molto più dell’eroe tutto muscoli (oggi emulato dai campioni di culturismo o di wrestling), come pure del donnaiolo, ubriacone e… travestito (proprio così: divenuto schiavo di Onfale regina di Lidia, fu costretto a vestire abiti e ad espletare compiti femrninilil). Storia tragica e comica insieme, dunque, la sua, capace di appassionare e stupire, a dimostrazione di quanto complessa sia la nascita di un mito.

In fondo, con i suoi eccessi Ercole porta alla luce il lato oscuro della natura umana, manifestando la necessità di una scelta capitale, quella di chi si trova al bivio tra vizio e virtù. E quanto al suo caotico vagabondare di avventura in avventura, che lo porta fuori della Grecia fino all'estremo del mondo conosciuto (non senza un passaggio in Italia, dove ha occasione fra l'altro di entrare nella leggenda delle origini di Roma e di fondare Ercolano), è interessante il tentativo di cercarvi un senso, una morale che attende di essere svelata.

Cosicché abbondano le interpretazioni allegoriche del mito, che anzi, con l'avvento del cristianesimo, subisce la più straordinaria delle metamorfosi: quella che vede Ercole figura di Cristo che lotta contro l'impero del Maligno e muore soffrendo per poi risorgere; è il motivo per cui ritroviamo l'eroe nerboruto con la sua clava nei dipinti delle catacombe e, nella successiva arte paleocristiana, perfino sulla cosiddetta “Cattedra di Pietro”, singolare trono ligneo ornato di formelle d’avorio che rappresentano appunto le dodici fatiche di Ercole.

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