Un sorriso che è speranza

Marco Rodari, in arte “il Pimpa”, fa il “claun” per i bambini che subiscono la guerra. Riaccendere la meraviglia sul volto di un bambino è il primo passo per la rinascita di un popolo.

Che cosa spinge un giovane nel pieno delle sue possibilità, a cui non manca nulla, a prendere un aereo e andare a complicarsi la vita per le strade dell’Iraq, della Siria o di Gaza? Adrenalina? Voglia di avventura? Soldi?

Ce lo spiega lui stesso, Marco Rodari, di Leggiuno (sul versante lombardo del Lago Maggiore), in arte “il Pimpa”. «Facevo un po’ il giramondo, andavo dove mi chiamavano a fare il clown» (anzi: il “claun” come preferisce definirsi). «Ma dopo la prima notte sotto le bombe, a Gaza, qualcosa è cambiato».

Sin da ragazzo, Marco è sempre stato attirato dalla magia, dai clown e dai bambini. In oratorio si cimentava in piccoli spettacoli armato di un bel naso rosso e tanto entusiasmo. Grazie a questa sua passione conobbe due grandi maestri, il Clown Margherito e il Mago Sales, coi quali andò “a bottega” come si faceva una volta. «Non ho mai studiato in una scuola di circo o cose del genere –spiega –. Ho imparato con loro, due persone che hanno fatto della solidarietà e del donarsi agli altri una ragione di vita». Pian piano cominciò a portare attimi di allegria e meraviglia ai piccoli degenti negli ospedali con la clownterapia, sullo stile di Patch Adams. Insieme a Margherito si recò anche nelle zone colpite da terremoti. «È stata una scuola enorme per me», riconosce con gratitudine. «Facevo le mie piccole esibizioni, a volte davanti al letto di un unico bambino, e poi loro mi correggevano…».

Per vivere, Marco faceva spettacoli nelle scuole e poi, già laureato in Lettere, cominciò anche a fare supplenze. In seguito, invitato dai missionari che aveva conosciuto, prese a girare per Medio Oriente, Europa dell’Est e Africa. Si trovava in Egitto, quando uno di loro gli disse che era stato destinato a una parrocchia di Gaza. «Se vuoi venire a darmi una mano…».

E così arriviamo al fatidico 2014 e a quelle 51 interminabili notti di bombe dell’Operazione Margine Protettivo. Lì si stagliarono definitivamente i lineamenti del Pimpa, il suo alter ego, mentre Marco, senza pensarci, rispondeva a un’autentica vocazione: quella di portare il sorriso e la meraviglia ai bambini in guerra. «Un bombardamento ti lega in un altro modo alle persone. Quando si rischia la pelle insieme, si crea un rapporto solido, fatto di fiducia incondizionata». Oggi vive per 6 mesi tra Gaza, la Siria e l’Iraq, con qualche settimana in Egitto, e 6 mesi in Italia, dove visita scuole, parla ai bambini e raccoglie fondi. «La raccolta fondi viene per ultima – spiega –. I bambini in genere son contenti di portare qualche loro soldino per aiutare i bambini meno fortunati di loro. Ma l’importante è incontrarli, parlargli dei loro coetanei nei Paesi in guerra e fare un po’ di magia».

La vita che fa è possibile grazie alla sua amicizia coi Missionari del Verbo Incarnato. «Quando li ho conosciuti, erano all’inizio, li ho visti crescere. E siccome ormai sono “specializzati” in Medio Oriente, e si spostano dall’Iraq a Gaza, dalla Siria all’Egitto, io li seguo laggiù».

Ovunque, il Pimpa si inserisce rapidamente, grazie al religioso che la gente del posto riconosce come abuna (“padre” della comunità, praticamente un’istituzione). Lo presenta come un amico, una persona per bene… Ed è fatta. Non disturba: si limita ad avvisare del suo arrivo, e subito lo fanno lavorare. Lo portano anche a Nassiriya, a Mossul, a Bassora… Una vera e propria tournée, solo un po’ più complicata del normale, possibile solo grazie all’azione di tanti volontari che si occupano di visti, permessi e logistica.

E in Italia è nata l’associazione “Per far sorridere il Cielo”. Quando Marco cominciava a fare il “claun” a tempo pieno, andando in giro scopriva tanti bisogni “con nome e cognome”. Tornando a casa ne parlava, e subito si organizzava qualcosa: una festa, una cena… «Non c’è come toccare la sofferenza con mano per spingerti a lavorare», riconosce Marco. Ai tempi di “Margine Protettivo”, il nostro era l’unico italiano rimasto a Gaza. «Sono finito sui giornali di tanti Paesi, e tante persone hanno cominciato a contattarmi per mandare denaro. Per un po’ lo inviavo a un’associazione di cui faccio parte, ma poi occorreva organizzarsi…». Ed ecco quindi “Per far sorridere il Cielo”.

Oggi, non appena il Pimpa calpesta le strade di Gaza o di Baghdad, si forma un gruppetto di bambini festanti che cresce in un baleno. Spettacoli all’aperto, nelle scuole, in ospedali e parrocchie si susseguono ogni giorno.

Ultimamente, almeno in Iraq, Marco constata un miglioramento della situazione. «Quest’anno abbiamo avvisato degli spettacoli coi manifesti, una cosa prima impensabile. Prima li facevamo quasi di nascosto, perché avvisare di uno show nel parco era come attirarsi una bomba sulla testa… È un segno di grande speranza, che fa dimenticare per un attimo la povertà e le immani difficoltà che la gente qui deve affrontare tutti i giorni».

Le attività del Pimpa si possono seguire sui social, che da quelle parti «sono molto più importanti che da noi…», riflette. Perché è l’unico modo che ha la gente di esprimersi e far sapere quello che vive. Ed è difficile per i governi censurarli e impossibile “pilotarli” come si può fare con tv, radio e giornali. «Soprattutto i giovani fanno vedere magari solo la loro casa distrutta. Hai voglia a negare… In genere non hanno scopi politici: vogliono raccontare la loro quotidianità».

Quest’anno, anche se aveva sempre detto di no ad ampliare l’attività ad altri Paesi («non si riesce: occorre accompagnare, formare giovani locali e progetti di solidarietà…»), non ha potuto rifiutare la “chiamata” dell’Ucraina. Ce l’hanno portato con un pulmino di aiuti della Fondazione Arché.

Il modello di intervento è sempre lo stesso: «Il mio lavoro è portare la meraviglia e un po’ di gioia ai bambini. Poi, far crescere un gruppo di clown locali che possano dare continuità. E aiutare, per quanto possibile, ad alleviare le necessità impellenti, per permettere che i bimbi possano andare a scuola, mangiare tutti i giorni e avere un tetto».

Non si può non rimanere ammirati ascoltando Marco. Gli chiedo se qualche volta, trovandosi sotto le bombe, non ha pensato “ma chi me lo fa fare?”. «No, perché non è quello che provo. In realtà mi chiedo com’è possibile che accada, perché l’essere umano vive ancora su questo pianeta, perché non arriva un asteroide e non si comincia tutto da capo senza di noi. La guerra è l’unica tragedia che è 100% responsabilità nostra». Certo, questa vita è una vocazione. È difficile fare il clown di guerra e metter su casa e famiglia. «Ma non ho rimpianti, perché finora ho vissuto la mia vita facendo quello che mi piace. E a fine giornata penso: ho fatto un po’ del bene».

«Nessuno è mai preparato a un bombardamento. E nessuno se ne può dimenticare. Me lo dicono anche i bambini che incontro nelle scuole. I loro nonni parlano loro della guerra e delle bombe. Puoi aver sperimentato 999 bombardamenti, arriva il millesimo e crolli. Dopo “Margine Protettivo”, a casa, per riprendermi c’è voluto un po’…». Poi lo supera e riprende a fare quello che sa. Col sorriso. È la sua risposta a tanto dolore.

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