Un sorriso al giorno

Il vignettista Paolo Del Vaglio. Un umorista in punta di matita.
Paolo Del Vaglio

«Vedo un battello sbattuto dalle onde: lo bombardano, lo silurano, ma non affonda. Allora non ci sono dubbi: è la barca di Pietro». «”Dottore che devo fare? Ho la pressione alta”. “Provi con la depressione”». «”Perché ci danno una pensione così bassa?”. “Sperano che non arriviamo alla fine del mese”». Battute fulminanti che ci fanno sorridere, sdrammatizzare e guardare alla vita con più ottimismo.

Da oltre 50 anni Paolo Del Vaglio, classe 1928, napoletano verace, ci diletta con le sue vignette distribuite sul territorio nazionale a più di 200 testate a cui ha collaborato. Sarà capitato a tutti d’imbattersi nel suo personaggio più famoso, l’angioletto Pigy, che con il suo candore ci trasporta nella dimensione della leggerezza. Le ali, l’aureola, il volare, sembrano esprimere bene il punto di vista dell’autore. Guarda, vede, legge bene – e forse meglio – la realtà, ma non ne rimane schiacciato. Ci passa sopra perché ha uno sguardo che vede più lontano, nella prospettiva di una vita a più dimensioni che spesso non riusciamo a intravedere.

Di una gentilezza e un affetto d’altri tempi, con una solida cultura umanistica e religiosa alle spalle, Paolo Del Vaglio ci è venuto a trovare in redazione, contentissimo di finire sulle pagine di Città Nuova, a cui è abbonato.

 

Come ha cominciato?

«Ho sempre amato il disegno e da ragazzo compravo i giornalini con i fumetti. Mi piaceva ricopiare i disegni di Jacovitti, Walt Disney, Craveri; ma a un tratto è successo come un miracolo. A 15 anni, in piena Seconda guerra mondiale, facevo la quarta ginnasiale, quando cominciai a disegnare e vedevo che non avevo più bisogno di guardare i disegni degli altri. Ero capace anche da solo ed era come se volassi.

«Da Napoli ero sfollato a Cassino. Fame, mitragliamenti, bombardamenti. Tornato a Napoli, cominciai a fare i cartelloni murali per la mia associazione cattolica. Mi regalarono gli acquarelli, ma non avevo neanche i pennelli. Disegnavo con le dita.

«Alla fine degli anni Cinquanta, l’amico giornalista Antonio Lubrano mi presenta al caporedattore di un settimanale sportivo per fare vignette sulla squadra di calcio del Napoli. Da allora non ho più smesso».

 

Il personaggio dell’angelo Pigy è nato nel 1966?

«Sì, ma la stesura definitiva è del 1969. Una notte non riuscivo a dormire, come se dovesse venir fuori un’idea. Mi alzai e disegnai un personaggio fatto di un ovale e un triangolo. Poi aggiunsi anche le braccia, le ali e l’aureola. Nacque l’angioletto Pigy. Aveva i capelli lunghi, come allora si usavano, e Pigy, sta per Pierluigi, non ha un significato particolare, ma suonava bene con la dolcezza del personaggio».

 

Come nasce una vignetta? Prima l’idea, la parola o l’immagine?

«Per quanto mi riguarda, la prima emozione viene dagli eventi reali che ti stimolano finché componi un’idea. Come nasce non lo so, ma ci vedo qualcosa di spirituale, indipendente da me. L’idea, poi, deve ben incarnarsi nel personaggio, altrimenti è inutile. Poi faccio il disegno e la battuta che è limata, raffinata e sintetizzata. Passata l’infatuazione del momento, bisogna attendere un po’ e verificare se l’idea funziona. I primi critici sono i miei familiari che, avendo una certa preparazione e sensibilità umoristica, mi possono aiutare».

 

Che tipo di umorismo è il suo?

«Il mio è un umorismo esistenziale ispirato al cristianesimo. Per interpretare i fatti in chiave umoristica bisogna avere una certa dote, non può farlo chiunque, ci vuole il talento di vedere i fatti sotto una chiave umoristica che sdrammatizza, che fa intravedere un altro punto di vista spiazzante, che fa ridimensionare il vissuto, rendendolo più leggero, più soave. È un dono che viene dall’alto, perché butto giù delle idee che non ho neanche quasi pensato. Sono come dei lampi improvvisi.

«L’umorismo profondo parte dall’angoscia e l’umorismo cristiano apre uno spiraglio di speranza. Le idee penetrano con l’ironia, in modo piacevole per te e per chi le riceve».

 

Cosa pensa della satira di oggi?

«Trovare un umorismo raffinato che rispetti la persona è difficile perché non manca solo l’educazione cristiana, ma anche quella umanistica. L’umanesimo dà un equilibrio fenomenale. Ci sono dei bravi vignettisti, geniali, ma i miei preferiti sono gli argentini Chino e Mordillo. In Italia, in genere, i vignettisti si sono affermati grazie al partito politico di appartenenza. Oggi abbiamo una satira feroce, violenta che, alla lontana, stanca perché è monotematica, banale. I canoni dell’umorismo, cioè l’interpretazione intelligentemente sorridente della realtà, latita».  

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