Un sondaggio sul valore legale della laurea
Dopo le proteste, le polemiche e i dubbi suscitati dalla decisione del governo Monti di abolire il valore legale della laurea, l’esecutivo ha fatto un parziale passo indietro, lanciando una consultazione online per raccogliere i pareri della popolazione e, successivamente, decidere il da farsi. Il sondaggio, che si concluderà il prossimo 24 aprile, ha però sollevato non poche perplessità. Le domande, ad esempio, suddivise in quattro aree, sembrano in qualche caso fortemente orientate a sostenere le opinioni del governo e spesso non prevedono risposte di tipo differente. Inoltre, non c’è un filtro nelle registrazioni, per cui in molti si sono divertiti a inserire, tra i votanti, personaggi storici o di fantasia.
Al di là di questa modalità di consultazione, resta un problema molto sentito nel nostro Paese quello relativo all’opportunità o meno di stilare una graduatoria delle università migliori, alla quale lo Stato, quando ha bisogno di personale per le sue amministrazioni, possa attingere basandosi non sul voto conseguito, ma sull’ateneo di provenienza.
«Abolizione del valore legale del titolo di studio significa che una laurea in Legge, per esempio, è l’equivalente di una laurea in Lettere, perché private entrambe del loro valore legale specifico. Il dibattito diventa allora non già quello di preparare nelle università avvocati, ma semplici laureati in possesso di un titolo fruibile e spendibile per tutte le occasioni – spiega Pasquale Almirante sul giornale La tecnica della scuola –. Ma c’è di più. Siccome un titolo equivale a un altro – continua –, essendo per esempio la laurea presa a Catania senza alcun valore legale rispetto a una simile conquistata a Bolzano, calmiere nella scelta di una determinata figura professionale a un concorso pubblico potrebbe diventare l’università di provenienza, non già lo specifico valore della laurea che tiene conto del voto e delle altre componenti giuridiche».
«L’apertura di una consultazione pubblica da parte del governo è considerata da valorizzare, ma – invocano le associazioni del mondo della scuola e dell’università, che si sono riunite a Bologna il 23 e 24 marzo scorsi per “L’urlo della scuola” – sono necessari un’autentica volontà di dialogo, metodi trasparenti e corretti per pervenire comunque a un ampio confronto pubblico: un sondaggio online tendenzioso accompagnato da una campagna di stampa un po’ superficiale e sloganistica non sembrano, però, un buon punto di partenza. Anche a non tener conto delle procedure previste per i deliberative polling – che richiedono tempo – si poteva almeno usare il buon senso che, se non sostituisce il rigore metodologico, poteva evitare certe forzature dipendenti dalla struttura del questionario», dichiara il professor Francesco Coniglione, sul sito www.roars.it.
La vicenda riguarda quindi tanto le questioni del sistema di istruzione, quanto quelle della partecipazione democratica e, essendo in gioco un doppio cardine del Paese che vogliamo costruire per il futuro, riguarda tutti i cittadini. Questo per innestare una forte concorrenza tra gli atenei per migliorare la qualità dell’insegnamento.
Si può facilmente prevedere che frequentare atenei di serie A comporti una spesa non indifferente per i ceti deboli e le ricadute sul sistema sociale possono essere allarmanti. In un sistema universitario come quello italiano, quasi interamente pubblico e pagato per il 90 per il cento con le tasse di tutti i cittadini, la valutazione e la classificazione delle università pubbliche non dovrebbero essere finalizzate a migliorare il livello di quelle che risultino meno valide?
Bisogna chiedersi ancora quale progetto sociale c’è alla base di tutto questo, che Paese vogliamo e quali sono le strade più “giuste” per raggiungere gli obiettivi che ci prefiggiamo. Entra naturalmente in gioco la politica che dovrebbe fare gli interessi di tutti e puntare al bene comune.