Un segno sulla montagna: memoria e profezia
Il 15 aprile 2016 sono salito al monastero di Tibhirine insieme ai parenti dei monaci ed alcuni amici, accompagnati da mons. Teissier e Jean Marie Lasours, prete della missione di Francia che in questi ultimi anni ha riaperto la vita del monastero. Si sale in pullman, con la scorta. Dopo Blida si affrontano le gole della Chiffa: un tempo luogo di imboscate da parte dei terroristi, oggi sono attraversate da imponenti ristrutturazioni del territorio per costruire un’autostrada.
Quasi venti anni fa sono venuto con padre Teissier e Gilles Nicolas. Passammo quindici sbarramenti nel percorso da Blida a Medea, uno a kilometro. Oggi ci sono negozi per turisti e per coloro che viaggiano. Anche Algeri sembra cambiata, con minore presenza militare, comunque più nascosta e riservata.
Il traffico è ancora più caotico e confuso, ma mons. Teissier è molto abile nel superare i nodi più intricati. Sul mio stesso aereo in volo per Algeri c’è il generale dei trappisti. Quando si passa la dogana, gli viene posto qualche problema per il visto di religioso, nonostante il passaporto di servizio del Vaticano. Teissier conferma che ci sono molte difficoltà per i visti, soprattutto ai religiosi, sintomo di tensioni e rigidità. Anche in questa occasione ci sono state difficoltà e qualcuno non è potuto venire.
Passiamo dalla casa diocesana, ma ripartiamo rapidamente per andare ai Glicynes, un centro culturale della Chiesa, dove abita padre Teissier. C’è una conferenza su Charles de Foucauld e sul suo rapporto con la cultura berbera. A tavola si parla della polemica legata alla scelta del giornale francese Le Monde di pubblicare la foto di Bouteflika insieme a quella di Putin ed altri personaggi coinvolti nello scandalo finanziario che ha visto come protagonisti i potenti del mondo.
È l’occasione per parlare di questa situazione sospesa, su cui premono in molti dall’Arabia saudita alla Francia. Ciascuno vuole mostrare un peso, che rischia di mettere in difficoltà il paese, che orami attende l’ultimo passaggio del suo presidente. La successione appare incerta e dagli esiti imprevedibili, ciascuno tira acqua al suo mulino. Si guarda con grande preoccupazione all’Arabia saudita. Il paese sembra attendere la morte del suo presidente con grandissima preoccupazione e con il rischio di subire ingerenze e pressioni esterne. Come se fino ad oggi non si fosse preparato quello che poi deve accadere.
In questa transizione si pone anche la questione del sequestro dei monaci, problema ancora non risolto e su questo punto il dialogo tra francesi e algerini sembra fermo e non ci sono dati e informazioni ulteriori per chiarire quello che davvero è accaduto. In questo modo si lasciano aperte tutte le possibilità su una vicenda che ha coinvolto, pur in misura diversa, l’esercito algerino, i francesi e il gruppo del terrore. Alcuni hanno scelto di tenere un profilo basso per evitare conflitti culturali e politici, ma in questi casi rinunciare alla memoria è rinunciare alla verità e senza la verità non si costruisce futuro.
Il pullman dei parenti e degli amici arriva a Medea scortato e a sirene spiegate, più una esibizione che una efficace azione di sicurezza. Anzi in una giornata di sole, in una giornata di festa. È venerdì, entriamo a Medea con grande rumore, a mostrare un potere inutile. Finalmente arriviamo al monastero. È la prima volta che i parenti arrivano insieme e cosi numerosi (oltre una ventina).
Tutto questo ci dice alcune cose: innanzi tutto che Tibhirine è vivo, non è morto, non è chiuso. Lo spirito di Tibhirine è ancora in grado di attrarre futuro. Andiamo al cimitero dove sono sepolti i sette monaci. È davvero un giardino con fiori e piante bellissime, in un silenzio raccolto che interpella i pellegrini che arrivano.
Accanto ai fiori c’è il lavoro dei campi dei contadini, ci sono i formaggi e il miele, le concrete attività dei contadini di Tibhirine, come dire il concreto popolo di questa Chiesa. Coloro che hanno vissuto, amato e condiviso concretamente la vita di questa comunità dei monaci. Poco dopo arriva il Wali di Medea a salutare i parenti dei monaci, come gesto di amicizia. Mi saluta. Gli viene ricordato il lavoro che avevo fatto all’ospedale di Medea per costituire un centro protesico in favore dei bambini vittime del terrorismo.
Poi c’è una memoria dei sette monaci, fatta da Jean Marie Lasourse. Certamente lui ne ha preso l’eredità, ma soprattutto la parola del dialogo, del perdono, della misericordia, dell’incontro appaiono davanti a noi come profezia e anticipazione di una via comunitaria condivisa con tutti.
(continua il 21 Aprile)