Un segno di rinascita per la Calabria
È durato dodici ore il viaggio nella regione di Benedetto XVI, che ha toccato Lamezia Terme e visitato la Certosa di Serra San Bruno
Un forte segno si speranza e di rinascita. La visita di Benedetto XVI in Calabria, 27 anni dopo la visita di Giovanni Paolo II alla regione, si apre con cinquantamila fedeli che, a Lamezia Terme, hanno sfidato le intemperie di questi giorni nell’area dell’ex Sir, un territorio emblema dei sogni industriali ormai falliti, per partecipare ad un’intensa Messa. All’arrivo del papa in città, il sindaco Gianni Speranza aveva ricordato in modo accorato le potenzialità, le opportunità e le tante risorse umane della sua terra unitamente ai pericoli della criminalità. «Non possiamo accettare – ha detto – che nella nostra terra si rafforzi il dominio di poteri criminali, che l’impresa buona sia scacciata da quella cattiva e inquinata, che il capitale illegale si sostituisca a quello legale, che i nostri giovani non abbiano lavoro e prospettiva e siano costretti ad andare via. Non vogliamo essere una terra amara ma una terra di libertà per le donne che qui incontrano più ostacoli e difficoltà, per gli uomini di oggi, per i nostri figli».
Dopo la Messa a Lamezia Terme, il Papa si è recato per la seconda parte della sua visita a Serra San Bruno (Vibo Valentia), dove ha incontrato la popolazione nel Piazzale Santo Stefano antistante la rinomata Certosa. In poche battute il papa ha spiegato la funzione dei monasteri ieri e oggi. «Se nel medioevo essi sono stati centri di bonifica dei territori paludosi, oggi servono a “bonificare” l’ambiente in un altro senso: a volte, infatti, il clima che si respira nelle nostre società non è salubre, è inquinato da una mentalità che non è cristiana, e nemmeno umana, perché dominata dagli interessi economici, preoccupata soltanto delle cose terrene e carente di una dimensione spirituale. In questo clima non solo si emargina Dio, ma anche il prossimo, e non ci si impegna per il bene comune. Il monastero invece è modello di una società che pone al centro Dio e la relazione fraterna. Ne abbiamo tanto bisogno anche nel nostro tempo».
Sedici monaci della millenaria Certosa fondata da San Bruno hanno accolto il papa per l’ultimo atto dell’intensa giornata conclusasi con la recita dei vespri. In una sorta di excursus sociologico il papa ha ricordato come il progresso tecnico ha reso la vita più confortevole ma più convulsa, nelle città c’è sempre rumore, anche di notte, e i media ci immergono in una dimensione virtuale che rischia di farci dimenticare la realtà. «I più giovani – continua il papa – che sono nati già in questa condizione, sembrano voler riempire di musica e di immagini ogni momento vuoto, quasi per paura di sentire, appunto, questo vuoto. Alcune persone non sono più capaci di rimanere a lungo in silenzio e in solitudine». Il carisma, invece, dei monasteri e della Certosa in particolare, contiene un messaggio per tutti gli uomini. «Ritirandosi nel silenzio e nella solitudine, – dice il papa – l’uomo, per così dire, si “espone” al reale nella sua nudità, si espone a quell’apparente “vuoto” cui accennavo prima, per sperimentare invece la Pienezza, la presenza di Dio, della Realtà più reale che ci sia, e che sta oltre la dimensione sensibile. E’ una presenza percepibile in ogni creatura: nell’aria che respiriamo, nella luce che vediamo e che ci scalda, nell’erba, nelle pietre… Dio, Creator omnium, attraversa ogni cosa, ma è oltre, e proprio per questo è il fondamento di tutto. Il monaco, lasciando tutto, per così dire “rischia”: si espone alla solitudine e al silenzio per non vivere di altro che dell’essenziale, e proprio nel vivere dell’essenziale trova anche una profonda comunione con i fratelli, con ogni uomo».