Un segnalibro dimenticato
Rimasto come segnalibro, un biglietto aereo Roma-Berlino mi riportò agli anni Ottanta. Era la prima volta che andavo a Berlino ovest e il mio viaggio prevedeva anche una visita a quella parte della città protetta dal muro di cemento, di filo spinato, di zone minate. Nella sala d’attesa avevo incontrato una ragazza italiana, che mi aveva chiesto, quando saremmo saliti in aereo, di darle una mano per il suo pesante bagaglio a mano. Zoppicava. Aveva qualche problema alla gamba. Sull’aereo, approfittando del fatto che accanto a me non sedeva nessun passeggero, lei mi raggiunse e così venni a sapere qualcosa della sua vita. Originaria di un paesino dell’entroterra siciliano, durante gli studi universitari era venuta a contatto con la droga. Cominciò a farsi per non essere da meno degli altri, in seguito per restare a galla e contare agli occhi degli altri, e alla fine perché non c’erano alternative. Per comprare la roba aveva cominciato a vendere il suo corpo e a Berlino aveva già un suo giro di conoscenze che le permettevano di drogarsi per vivere e vivere per drogarsi. Essendo giovane, non era evidente la sua distruzione fisica, ma mi resi conto del punto in cui si trovava quando, rispondendo alla sua domanda, cominciai a raccontarle qualcosa di me. Mi sembrò che seguisse le mie parole come chi guarda un film di fantascienza, poi notai che era incapace di ascoltare. Interruppi il mio racconto e non se ne accorse. Lei riprese il suo parlare seguendo il filo di una storia che le girava nella testa come un disco rotto. Le bestemmie intercalavano i quadri della memoria ed erano puntualmente associate a fallimenti, tradimenti, delusioni. Erano come i punti di una cucitura che avevano fissato alla realtà di sempre un vissuto travagliato. Quando bestemmiava era come se dicesse ahi!. Seppi così di sfruttatori, di gente senza scrupoli, di uomini che puzzavano di bestialità, di rivalse, di vendette. Quel mondo senza sentimenti, era per Lina, così si chiamava, la sua palestra di addestramento ed il suo campo di battaglia. Il resto, parenti, ricordi, altre amicizie, erano rimasti chiusi oltre il muro delle convenzioni più crudele del recinto che divideva Berlino. La vita di prima era inverosimile, finta. Da quando sono nel giro ho imparato a lottare, a vincere, a conoscere com’è l’uomo, la sua fragilità, la meschinità, a riconoscere le sue paure. È in questo retrobottega della vita che conosci dove può arrivare la cattiveria ma è qui che vedi quanta bontà ci sia in ciascuno. Siamo animali e la nostra forza sta nell’appartenenza al branco. Mi sento più forte qui di quando ero nell’ambiente protetto della mia famiglia. Mi pesavano i pregiudizi, le invidie, il far le cose per imporsi sugli altri, per mortificare gli altri con la tua superiorità, con i tuoi soldi, con la tua macchina almeno dieci centimetri più lunga di quella del vicino. Qui sono allo stato essenziale. Lo stadio zero, la morte è più vicina ed è forse per questo che qui tutto è più vero. Poi, dopo un silenzio interrotto da qualche annuncio, aggiunse: L’amicizia non è un bene che si compra, ma è la solidarietà che è già in ciascuno di noi. Pur muovendomi in un ambiente senza pietà, che non perdona nessuno sgarro, non so come dirtelo, ho trovato qui la vera amicizia ed è per questo che non resisto lontana da Berlino. Ho un’ulcera alle vene della gamba che non si rimargina. Non so cosa sia e mi fa molto male; eppure ho preferito rifugiarmi qui, dove nessuno forse mi curerà, ma dove le parole hanno il loro vero significato. Sì è sì. Non è no!. Restai perplesso. Lina, senza nessuna pretesa di convincermi, aggiunse: Io non dico che la tua vita sia peggiore o migliore, un fatto è sicuro: nel crollo di tutti i punti fermi della mia vita ho intravisto una bellezza che ancora non conoscevo. È questa la mia religione. La bellezza dell’uomo sconfitto, spogliato dalle convenzioni e dal falso perbenismo. L’uomo che si alza dalle sue macerie senza chiedere aiuto a nessuno. E non chiedermi se sono felice perché dovrei adottare il metro satanico del consumismo o andare a scomodare le nevrosi di Freud. Ora mi sento più viva di quanto non lo fossi quando ero una brava ragazza. E una risata, volutamente volgare, accompagnò quel brava ragazza, mentre si girava verso l’oblò che mostrava soltanto un cielo nero. Poi divenne seria: Non è facile comprendermi, ti capisco. Ma la qualità della vita sta tutta nella fedeltà ad una luce che appare soltanto di notte. Prima che l’aereo atterrasse si caricò di fard e rimmel. Le sue labbra si accesero di un rosso aggressivo. Tirò fuori dalla borsa uno scialle vistoso e, chiedendomi ancora aiuto per il bagaglio, mi invitò a seguirla all’uscita. L’attendeva un uomo maturo, direi elegante. Me lo presentò, in tedesco, non so con quale ruolo e mi presentò a lui come un compaesano. Sparirono abbracciati tra la folla. Intanto fui raggiunto da chi mi aspettava. L’indomani, per strade di vetrine sovraccariche di cose, arrivai ad un’impalcatura che permetteva di guardare oltre il muro che divideva la città e da cui potevo tangibilmente registrare che razza di scherzi può fare la storia. Di là metri e metri di filo spinato, grigio come le case, come l’asfalto di strade che nessuno rischiava calpestare. Anche le finestre dei palazzi erano serrate. Saranno minate anche quelle? Alla vivacità della vita che mi girava attorno strideva violentemente quel silenzio che cominciava dal muro in avanti. Anche i suoni si fermano al muro? Mi tornò in mente Lina, una ragazza che non apparteneva né all’est né all’ovest. Nelle mie orecchie la udivo ancora affermare con forza: Non è la droga che mi distrugge ma la fatalità delle convenzioni bugiarde. La paura è la droga della storia. La gente fa tutto per paura. Io vorrei fare tutto per amore. Pur muovendomi in un ambiente senza pietà, ho trovato qui la vera amicizia ed è per questo che non resisto lontana da Berlino.