Un Sanremo come tanti
Son finiti i tempi in cui ognuno aveva una ricetta per rendere Sanremo migliore. Sono passati anche quelli in cui ci si sarebbe accontentati di renderlo un po’ meno ipertrofico ed invasivo. Oggi ci siamo arresi, e parafrasando il Candide di Voltaire siamo giunti alla conclusione che questo è pur sempre il migliore dei Sanremo possibili.
L’abbiamo capito: non è questo il posto o lo strumento per rendere il mondo migliore, né per smuovere le nostre coscienze imbolsite, e nemmeno per fare della televisione di primissima qualità: è semplicemente la crocerina all-inclusive dove tirare il fiato, magari sbadigliandosela con gli amici, e consentendo simultaneamente a tutto il baraccone mass-mediatico e allo show business di lucrare sull’indotto…
In ogni caso l’Italia che anche in questa 67esima edizione ci si è specchiata dentro ha trovato le solite smagliature: troppe chiacchiere, troppe enfasi, molte canzoni banali, anche se talvolta nobilitate da qualche guizzo poetico. Formalmente, un paio di novità sono comunque da registrarsi: la De Filippi ha dimostrato che tale transatlantico può anche arrivare a fine crociera senza le vallettone di turno, e – sorpresa! – grazie ai social Sanremo è tornato a risultare “attraente” anche per i più giovani.
Ho seguito una delle serate con alcuni miei nipoti, e sono rimasto impressionato dal fatto che non lo disdegnassero affatto, pur dileggiandolo di tanto in tanto… Del resto il festival si è andato talentizzando in questi ultimi anni, e questo passerà alla storia come quello della rottamazione ci certi suoi vecchi cliché o, vassapere, come il preludio di un prossimo a due velocità o a tre categorie.
Per resto è stato un Saremo come tanti, e soprattutto costruito e digerito secondo il primo dei suoi postulati: rassicurare il Paese, tranquillizzarlo. Quasi a sottintendere che finché ci sarà questo rituale, nonostante le oscurità e le inquietudini d’intorno, l’italiano medio ne uscirà sempre convinto che, nonostante tutto quel che capita intorno, andrà sempre e comunque tutto bene. Strategia ipocrita e furbetta per uccellare i sempliciotti? Boh: la domanda resta, e anche i problemi che questa sottintende, ma non è un problema di Sanremo: è un problema nostro, di ciascun componente di questo Paese annaspante che mi dà sempre più l’impressione di rincorrere i traguardi sbagliati…
Dati i tempi, gli autori (sia quelli dei copioni che delle canzoni) hanno spinto parecchio sul pedale valorial-sentimentale, ma alla fine poco o nulla è cambiato e la sbobba era più o meno la solita centrifuga, dove un più del solito ha fatto capolino qualche richiamo/incursione nel Paese Reale: storie o situazioni che magari ci hanno stretto il cuore tra un super-ospite e l’altro, strappandoci a seconda dei casi, una risata, una lacrimuccia o l’applauso; ma a conti fatti, tutto non poteva che finire triturato in questo gran frullatore dove tutto serviva prioritariamente a fare share…
Ha vinto a sorpresa la travolgente e scanzonata (ma neppur troppo) Occidentali’s Karma del lanciatissimo Gabbani, anche se per molti la vincitrice morale resterà probabilmente la Mannoia, non solo per il carisma e la caratura del personaggio, ma anche per un testo pieno di spunti poetici veri. Merita un applauso sincero: perché oggi più di sempre è difficile parlare e cantare la vita con un ottimismo che non suoni favolistico. Potrei citare anche Samuel, la Turci Ermal Meta o Maldestro, ma s’impone un distinguo: un conto è “fotografare” la realtà cercando di coglierne qualche fremito positivo, altro è schierarsi: in questo senso la canzone di Fiorella – e in particolare il testo scritto da Amara – è veramente un inno alla vita; come dire dire che lei, la Vita, è perfetta nonostante le sue debolezze, le sue oscurità, le sue stesse imperfezioni…
Ecco cos’è che fa bella e importante una canzone: tradurre in note e parole sentimenti che tanti sentono di avere in cuore, ma che non riescono a esprimere, se non, giustappunto, ritrovandoli e riconoscendoli in un’opera d’arte, o per lo meno d’ingegno creativo.
Tutto il resto, direbbe l’indimenticabile Califfo, è noia.