Un Rinascimento africano?
Mentre l’Unione europea sembra soffrire di sintomi preoccupanti di disintegrazione, sarà la volta dell’Africa imboccare il cammino dell’integrazione? È la speranza della politica di questo secondo decennio del XXI secolo. Il ritorno del Marocco nell’Unione africana, dopo 33 anni di assenza dalla sua uscita dall’organizzazione per la questione dell’ex Sahara Occidentale, appare un buon segno, anche se molto c’è ancora da fare per risolvere una delle più antiche “questioni congelate” del continente.
Da una parte, com’è emerso dall’ultimo vertice dell’Unione africana di Addis Abeba, nel febbraio scorso, le spinte verso una maggiore cooperazione sono evidenti e forti; dall’altra, anche nel continente africano si producono meccanismi “sovranisti” che inducono a credere che l’interesse nazionale significhi contare solo sulle proprie forze.
In realtà, in Africa come altrove, l’interesse nazionale non corrisponde sempre con l’interesse popolare, e serve a giustificare politiche che favoriscono élite economiche e politiche. Molti Paesi africani si affacciano alla soglia dello sviluppo, come la Nigeria, come il Kenya, come la stessa Etiopia, ciascuno secondo un percorso diverso. Ma appare illusorio ritenere che l’Africa possa davvero decollare senza un minimo di infrastrutture, non solo nel senso di trasporti e interconnessioni energetiche, ma anche di infrastrutture umane che consentano ad esempio di accrescere gli scambi nel settore universitario e della formazione.
In Occidente parliamo spesso della minaccia del terrorismo, che trova adesso in Africa molti centri di riorganizzazione (come nel Sahel) con gruppi vecchi e nuovi e sigle sinistre (da Boko Haram a Daesh, a Aqmi), e sicuramente abbiamo il diritto e il dovere di proteggere le nostre società. Dimentichiamo però che il tema critico dell’Africa è quello della “sicurezza umana”, cioè condizioni di vita decenti, la speranza del futuro, oltre all’incolumità personale e il rischio della vita, che è una costante in molti Paesi del continente. Al vertice di Addis Abeba si è parlato di un’Africa “senza complessi” nei confronti del Nord del mondo, di un’Africa che non solo parla del suo futuro, ma che lo pianifica con un’agenda programmatica, “Africa 2063”: per un continente politicamente unito, sviluppato secondo un modello sostenibile, dotato di una sua autonoma e forte identità culturale. Insomma, la speranza di un Rinascimento africano.