Un ricordo di Jean-Luc Godard
Sono piovuti i necrologi e le analisi le più varie su un personaggio che ha rivoluzionato la storia del cinema. Giornalista di cinema affronta poi la regia ottenendo un Orso d’argento di Berlino nel 1959 con il film, rifiutato a Cannes, Fino all’ultimo respiro, diventato ormai un classico. Una storia esile in sé – il giovane J.P. Belmondo che vive ai margini della legalità viene ucciso dalla polizia dopo la denuncia da parte dell’amante Jean Seberg – ma che diventa il manifesto della Nouvelle Vague: budget ridotto, pochi giorni di lavorazione, riprese in mezzo alla gente, amore per il poliziesco americano e un montaggio sconnesso, movimenti frenetici in cui l’azione determina i personaggi e non viceversa.
Nel 1963 filma Il bandito delle undici con Belmondo nei panni di un professore insoddisfatto della propria vita borghese che fugge verso il sud a cercare pace ma finendo nella disperazione. Denso di citazioni filmiche e letterarie, trova il suo apice nella scena del suicidio di Belmondo, truccato, mentre legge una poesia di Rimbaud. Nei lavori successivi, Godard esplora il mondo giovanile e adulto, sembra quasi prevedere la corrente del maggio ’68 a Parigi, ma poi negli anni Settanta cambia direzione e inizia a sperimentare il digitale, facendosi voce delle tecniche di ripresa più avanzate, producendo oltre cento film. Lavora moltissimo, produce le sue Histoires du cinema (1988-1998) e chiude la carriera nel 2018 con Le livre d’image, lavoro ambizioso dove il cinema diventa filosofia e agisce come politica.
Amato e detestato, irriducibile sperimentatore, cosa rimane di questo maestro ostinato nel cercare sempre nuovi linguaggi e nuovi strumenti espressivi? A parte il valore indiscutibile di parecchi suoi lavori, è forse la ricerca su come comunicare il tormento dei nostri ultimi decenni la sua parola più valida, senza nulla rifiutare nella ricerca del nuovo, con una visione amara in genere e anche sarcastica del vivere, in cui talora però la forza poetica rischiava di venire limitata da quella della sua razionalità eccessiva.
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