Un recupero per l’Europa

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Il presidente Bush ha scelto di andare incontro ai primi reduci dal Golfo per celebrare con loro la vittoria. Ma non ancora la fine della guerra, perché i risultati prefissati non sono stati tutti raggiunti. Gli alleati hanno sì concluso le principali operazioni militari rapidamente, e si è evitato il tanto temuto scontro casa per casa nelle città, perché il regime di Saddam è imploso, ma la mancata cattura del rais e le difficoltà che una vera pacificazione del paese va incontrando lasciano prevedere ancora tempi lunghi per un disimpegno totale. Neppure sono state trovate a tutt’oggi le fantomatiche armi di distruzione di massa. Mentre la complessa macchina dei soccorsi alla popolazione e poi della vera e propria ricostruzione del paese devastato ha un avvio lento. È facile costatare, intanto, che se è in Iraq che si dovranno rimarginare le ferite più profonde e, in tutto il mondo islamico, riassorbire i maggiori risentimenti, da molte altre parti si devono ancora chiudere i conti, non certo positivi, legati a questa guerra. I ministri degli Esteri dell’Unione europea, in una piccola isola dell’Egeo, hanno cercato di rattoppare gli strappi che le opposte vedute sul conflitto iracheno hanno prodotto fra i paesi membri. La spaccatura in seno al Consiglio di sicurezza dell’Onu sull’opportunità di chiudere i conti con Saddam attraverso una guerra, spaccatura che ha diviso anche l’Unione europea, non rappresenta che la manifestazione più recente di un malessere antico legato a tendenze egemoniche che i paesi più importanti quasi fisiologicamente coltivano. Ma questa volta lo stesso concetto tradizionale di occidente è entrato in crisi. Le contrapposizioni che per secoli avevano diviso l’Europa, prima sul Reno e poi, con la fine del secondo conflitto mondiale, sull’Elba e sul Danubio, quasi cinquant’anni dopo, con il collasso dell’Unione Sovietica e con il ritorno della Russia alla democrazia, sembravano destinate a scomparire del tutto. Si era parlato addirittura di una continuità che avrebbe legato idealmente, e non solo, tutti i paesi dell’emisfero settentrionale, da Vladivostok a San Francisco, seguendo il corso del sole.Disegnava un occidente globale. Oggi questa visione ottimistica, ma soprattutto egoista, è entrata in crisi e l’Europa si è ritrovata di fatto divisa, non solo dall’America, ma anche in sé stessa, giusto alla vigilia di grandi decisioni che nei prossimi mesi dovranno essere prese per programmare il suo futuro. Quali i suoi rapporti con i cugini americani ai quali per troppo tempo ha delegato la propria difesa e, di conseguenza, parte della propria politica estera? E, per contro, con quali risorse potrà provvedere da sé al compito di dotarsi di un proprio esercito e con quali criteri lo vorrà gestire? Quale linea vorrà tenere davanti all’attuale crisi dell’Onu, nel cui seno, non disponendo di una propria rappresentanza unitaria, si trova spesso divisa? E dunque, a quando una politica estera comune? Troppi buoni propositi, ripetuti fino alla noia in tutti questi anni, sono stati smentiti dai fatti. Certo non sono nuovi questi interrogativi, e forse può essere provvidenziale porseli in questo momento. Comunque è doveroso. D’altra parte non è un caso che, al di sopra di questi battibecchi si sia levata ancora una volta la voce del papa. Non è un caso che questo grande vecchio, inascoltato dai governanti davanti alla crisi irachena, sia ascoltato dalla gente, e venga visto oggi come il vero vincitore di questa crisi. Sì, perché il concetto di guerra, anche della “guerra giusta”, è stato rovesciato e ripudiato dalla maggioranza delle popolazioni di quegli stessi paesi i cui governi l’hanno appoggiata. Così, proprio dalla Spagna, uno di questi, egli ha potuto gridare ancora una volta all’Europa l’invito a ritrovare le proprie radici. Radici cristiane. E su quelle costruire la pace per sé e per gli altri. Non è forse questo, al di sopra di tutto, il disegno primitivo su cui è nata l’Europa di Schuman, di De Gasperi e di Adenauer? Questa la prima e principale missione che il continente, vecchio per la sua storia e nuovissimo per il progetto che può esprimere, è chiamato a recuperare? Allora l’unità politica avrà anche un’anima.

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