Un re sulla spazzatura
È un regno ormai al collasso quello di Berenger I, con una corte ridotta all’osso – una serva, un medico, una guardia – e un lembo di terra che si restringe. Gli viene annunciato, inoltre, che nell’arco di novanta minuti morirà. Ma il vegliardo, da secoli al potere, non vuole assolutamente lasciare il trono, rinunciare ai suoi privilegi, né cessare di vivere. E tenta in tutti i modi di ignorare, poi di dubitare, quindi di resistere, infine di conciliarsi alla prospettiva della fine che sta per giungere. Con gli ordini che man mano gli tornano indietro come boomerang, passa per una serie di stati d’animo e di discorsi di straordinario realismo e profondità. Fino al dissolversi definitivo col lento spegnersi della luce su di lui seduto sul trono. Il re muore di Eugène Ionesco è il racconto – senza le regole delle trame tradizionali – delle ultime ore di vita del sovrano di uno Stato immaginario, circondato dalle due mogli-regine: le due facce, in aperto contrasto tra di loro, della stessa donna. La più giovane incarna il sentimento e la voglia di resistere; la più adulta, la ragione che deve prepararlo all’estremo distacco. È quest’ultima ad annunciargli l’avvicinarsi della fine, cronometrando freddamente il tempo rimasto. In questo testo degli anni Sessanta, dai molteplici livelli di lettura, l’autore franco-rumeno utilizza la chiave dell’umorismo e del sarcasmo per far prendere coscienza all’uomo della sua tragica condizione determinata da egoismo, attaccamento al potere, ricchezza. Spesso divertente, lo spettacolo messo in scena da Pietro Carriglio porta i segni scenici del degrado dei nostri giorni – un interno di ragnatele e, sotto il palcoscenico, un cumulo di detriti con annessi bidoni della spazzatura -, anticipatore di un’attualità che sta sotto i nostri occhi. È la metafora più ampia dell’agonia del nostro mondo, prigioniero della propria arroganza e indifferenza, che produce e lascia solo scorie. Nello Mascia e Alvia Reale sono interpreti appropriati: l’uno nel passare dal buffo al tragico; l’altra nella freddezza della distanza che gli crea attorno.