Un “Re Lear” non più attempato
È un Lear ancora vitale, in piena forma e godereccio, incline a recuperare felicemente distrazioni giovanili sottraendosi alle responsabilità del potere. Lo presenta così, nell’atto iniziale di rinuncia al trono, il regista Giorgio Barberio Corsetti, affidando il personaggio del re destinato alla pazzia a un attore di razza – più di cinema che di teatro –, anch’egli vitale e ben nella parte, come Ennio Fantastichini. Non è più, quindi, questa di Shakespeare, la “tragedia della vecchiaia” – e ben venga una lettura fuori dalla tradizione – che lo vuole alle soglie della senilità.
Sappiamo che Lear lascia il suo posto di sovrano spogliandosi d’ogni bene a vantaggio di due false, fameliche figlie, ripudiando la terza, la più giovane, l’unica che sappia unire affetto vero e sincerità. E si ritrova reietto, scacciato di casa, sotto l’infuriare di una tempesta reale e simbolica. A stargli dietro nell’erranza ci saranno solo un paio di fedelissimi amici, il fool, matto di corte, ed uno che della demenza farà una maschera per sottrarsi alla persecuzione di cui a sua volta, calunniato dal fratellastro, è oggetto. Qui, nell’avvio di Corsetti, l’abdicazione del sovrano a favore delle figlie delle quali ben presto scoprirà la perfida ingratitudine – con l’eccezione dell’ingiustamente rinnegata Cordelia –, avviene durante una festa e a suon di musica rock in una diretta video da dietro le quinte proiettata su un grande schermo in palcoscenico.
Corsetti, da sempre, riesce bene nel muovere le scene o gli spazi non convenzionali con cui si relaziona, restituendoci di ogni autore e testo indagato dinamiche moderne e invenzioni con utilizzo di mezzi tecnologici. Che ritroviamo anche in questo Re Lear prodotto dal Teatro di Roma e dal Biondo di Palermo. Il video, insieme ad altre proiezioni, didascalie e disegni grafici che si susseguiranno per tutto lo spettacolo, portano la sua riconoscibile firma, quella di un regista che di questi elementi ha fatto negli anni la sua cifra autoriale. Anche gli oggetti messi in campo; il taglio dei costumi, coloratissimi e moderni che hanno le tinte della passione; le scene mobili e plastiche, con passerelle infiorate, tavolate, poltrone calate dall’alto, e scale e ponti sbilenchi; i fondali d’ombre, a luce piena, o squarciati con tagli alla Fontana, sono tutta materia dai riferimenti pittorici, scultorei e installativi, che richiamano un catalogo di arte contemporanea congeniale al regista.
Alla sua quarta prova teatrale con Shakespeare – dopo La dodicesima notte e La tempesta di molti anni fa, inclusa una regia lirica del Macbeth di Verdi –, la chiave del suo attuale Re Lear si risolve prevalentemente nella dichiarata impaginazione contemporanea, apprezzabile sotto l’aspetto figurativo ma meno sul piano registico, altalenante e discontinuo, debole nella chiarezza della resa testuale. Disparità e contraddizioni segnano pure la resa recitativa, dai toni naturalistici, spesso urlati o solo detti senza farsi attraversare dalle parole, a scapito della resa poetica del gran testo dalla potente figura scespiriana, e con gli attori ciascuno con un proprio registro a sé.
La traduzione di Cesare Garboli punta ad una concretezza che cancella i voli barocchi per piazzare le sue metafore poetiche in uno spazio di attualità. Ma il tono generale denota uno spiazzamento squilibrato dove, ad esempio, il fool diventa un commentatore un po’ fuori posto alleggerito di qualsiasi disperazione metafisica, e le due figlie ingrate del re vengono giustificate da una mentalità piccolo borghese, a rischio di lasciare immotivati i loro più crudeli eccessi sadici. Ma soprattutto, il percorso verso la follia di Lear non ha tutti quei segni graduali che necessiterebbe. Il suo è un procedere verso un enigma misterioso che si accinge a intraprendere allorchè, all’inizio della tragedia, abbandona il potere e divide il suo regno in due anziché in tre. Da quel momento si avvia un percorso sconosciuto nel quale il buio del cuore e della mente sempre più si dilatano, s’ingrandiscono a dismisura. E contengono non soltanto tutti i tuoni, tutti i fulmini, tutte le tempeste e tutti i sentimenti più puri nutriti dal cuore dell’uomo, ma qualcosa ancora di più: confinano con l’oscurità del mondo. Un mondo senza sicurezze ontologiche, leggibile oggi nell’insensatezza quotidiana, nei fatti del mondo e nelle cronache spicciole. Testo catartico per eccellenza, per fare il Re Lear ci vuole una certa pietas, perché di questo si parla. Che qui sembra mancare quasi del tutto.
“Re Lear” di William Shakespeare, traduzione Cesare Garboli
regia e adattamento Giorgio Barberio Corsetti
con Ennio Fantastichini e Michele Di Mauro, Roberto Rustioni, Francesco Villano, Francesca Ciocchetti, Sara Putignano, Alice Giroldini, Mariano Pirrello, Pierluigi Corallo, Gabriele Portoghese, Andrea Di Casa, Antonio Bannò, Zoe Zolferino
scene e costumi Francesco Esposito, luci Gianluca Cappelletti
musiche composte e eseguite dal vivo Luca Nostro
ideazione e realizzazione video Igor Renzetti e Lorenzo Bruno
Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale e Teatro Biondo Palermo.
Al Teatro Argentina fino al 12/12. In tournèe al Teatro Biondo di Palermo dal 15 al 23/12; Ancona, Teatro delle Muse, dall’11 al 14/1/2018; Chieti, Teatro Marrucino, il 16 e 17; Fano, Teatro della Fortuna, dal 19 al 21; Teramo, Teatro Comunale, il 23 e 24; Ferrara, Teatro Comunale, il 26 e 27; Udine, Teatro Nuovo Giovanni da Udine, dal 31/1 al 2/2; Torino, Teatro Carignano, dal 6 al 18/2.