Un quarto di secolo orfani di ‘madre’ Teresa
Il 5 settembre ha segnato il venticinquesimo anniversario della scomparsa di Madre Teresa (ora santa Teresa) di Calcutta (ribattezzata da circa vent’anni Kolkata). Un quarto di secolo senza la ‘madre’. Proprio questo era l’appellativo con cui ci si rivolgeva a lei nel subcontinente.
Durante la sua vita, da quando divenne nota ai media e al mondo, la ‘madre’ era sinonimo di questa donna minuta, piccola che camminava con passo risoluto, fino a quando ha potuto. Il suo parlare anche era chiaro, scevro da fronzoli come il suo sari bianco con i bordi blue che ha reso inconfondibili le sue suore in qualsiasi parte di mondo si trovino.
Madre Teresa è stata per decenni il simbolo del cristianesimo in India, del servizio agli ultimi, ai moribondi e ai derelitti. Ha mostrato di cosa è capace un cristiano, quando prende sine glossa (alla lettera) le parole di Gesù. Il suo esempio cristiano ha offerto a tutto il subcontinente una alternativa credibile al cristianesimo che si era accompagnato al colonialismo per farsi strada – senza troppo successo – fra le pieghe delle culture millenarie dell’India e di altre parti dell’Asia.
Ma la ‘madre’ ha anche sperimentato le persecuzioni di cui non di rado i cristiani sono stati oggetto in quell’angolo di mondo. E lo sono ancora. L’accusa che si ripete è quella che il servizio agli ultimi e ai derelitti è sempre finalizzato alla conversione e al cristianesimo. Lei non si è mai curata di queste accuse, che spesso gli arrivavano anche da occidentali laicisti che non coglievano la grande testimonianza che questa donna macedone-albanese era capace di offrire al mondo.
Fin dall’inizio, alcuni purohit (sacerdoti brahmini) indù non le risparmiarono queste accuse rischiando di vanificare la ‘chiamata nella chiamata’ che aveva ricevuto. Ma questa donna minuta era dotata di una volontà indomita ed ha sempre sostenuto che non aveva tempo da perdere con accuse e sciocchezze di questo tipo.
Ha lavorato fino all’esaurimento delle sue forze. Ricordo una volta di averla incontrata nella casa dell’arcivescovo di Calcutta, mons. Henry D’Souza. Mentre aspettavamo mi chiese come stesse Chiara Lubich di cui era vera e profonda amica. La Lubich passava un momento difficile in quel tempo e lei lo aveva saputo. Ma anche madre Teresa era uscita da una delicata operazione al cuore. Le chiesi come stava e lei mi rispose senza esitazione: «Io sto bene, è il mio cuore che ha problemi».
La incontrai per caso, nuovamente, qualche mese prima della morte, la mattina dopo che Sr. Nirmala era stata eletta come prima Superiora Generale dopo di lei, la fondatrice. Era su una sedia a rotelle, sempre più esile e sempre più debole. Anche in quell’occasione prendendomi la mano e stringendola con una forza che non capivo da dove le venisse, mi chiese di Chiara, che, il mese dopo, avrebbe incontrato per l’ultima volta a New York, quasi per caso.
Quando morì molti giornali indiani intitolarono a tutta pagina: «La madre ci ha lasciato; L’India orfana della madre; la madre non c’è più». Kolkata si fermò per i suoi funerali, che furono una cerimonia di stato.
In questi anni le sue suore hanno continuato a lavorare con il suo stile, povertà, accoglienza degli ultimi, poco rumore e testimonianza quotidiana di amore agli ultimi. Evitano di far parlare di sé, hanno ereditato il suo stile, silenzioso, sobrio, discreto. Anche negli ultimi anni, con un governo tutt’altro che simpatizzante di questa missione di servizio, la congregazione non ha mai sollevato casi, persino quando è stata accusata falsamente.
Il 5 settembre, giorno della scomparsa della madre, l’attuale superiora generale – sr. Mary Joseph – ha annunciato che le suore hanno ricordato la loro fondatrice con una giornata dedicata interamente al servizio ai poveri, come nello stile della santa degli ultimi.
L’arcivescovo ha celebrato la messa mattutina alle 6.00 e si è chiesto: «È cambiato qualcosa per le Missionarie della Carità dal 1997 a oggi? La risposta è no. Il primato della carità continua ad essere il principio guida. Nella nostra arcidiocesi, e specialmente nella città di Calcutta, il loro servizio gratuito e di tutto cuore ai più poveri tra i poveri continua a Kalighat o Premdaan, Shantidaan o Dayadaan, Jeevandaan o Shishubhavan, come nelle case dei fratelli Missionari della Carità di Nabojivan a Howrah, o al Gandhi Ashram a Titagarh, e in quelle dei padri e delle suore contemplativi. Lo stesso modello è presente in tutto il mondo. Le sfide e la povertà sono aumentate ma la risposta è sempre stata il primato della carità o dell’amore».
__
Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre riviste, i corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it
—