Un prete tra le case

Intervista a don Ciotti, presidente nazionale di Libera e fondatore del Gruppo Abele.
don Ciotti

 

Si contrappongono, a volte, due concezioni di sacerdote: una sottolinea l’aspetto sociale e funzionale come servizio ad una comunità, l’altra evidenzia la dimensione sacramentale. Qual è il suo modello di sacerdote?

«L’impegno e la responsabilità di un prete sono chiari: annunciare la Parola di Dio, presiedere l’Eucarestia e animare la comunità cristiana affinché testimoni che Gesù vive in mezzo a noi per proporci “fame e sete di giustizia”, fraternità, comunità e perdono. Non credo che esistano due concezioni di sacerdote. E’ vero piuttosto che ogni “prete” vive il suo ministero in comunione con il suo vescovo, al servizio della “chiesa” e con la propria sensibilità, cultura e umanità. Per fortuna non siamo tutti uguali. E ciascuno vive il suo ministero con la propria personalità. Ciò che non deve venire meno nel “prete” è la fedeltà a Dio e all’uomo.

«Dati questi presupposti, ben venga la ricchezza umana con cui ogni prete incarna e vive il suo ministero. Per quanto riguarda invece il mio modello di “sacerdozio”, ritengo che il servizio più completo che un prete possa svolgere – a livello umano e di fede cristiana – resta la vita parrocchiale, nel significato stesso della parola parrocchia: “tra le case”. Per questo mi è così caro padre Michele Pellegrino, che nel 1972, quando mi ordinò sacerdote, mi assegnò come parrocchia la “strada”. Con un preciso mandato: che ci sarei andato a imparare, non a insegnare».

 

Cosa consiglierebbe per promuovere un rinnovamento del sacerdozio?

«Il punto non è tanto rinnovare il sacerdozio, ma “rendere nuova” la nostra adesione al Vangelo, “rinnovare” il nostro essere credenti e comunità cristiana. Solo una rinnovata radicalità cristiana è in grado di “donare” alla chiesa preti migliori».

 

Un bilancio dell’anno sacerdotale dal suo punto di vista?

«E’ stato una preziosa opportunità per la chiesa tutta. Non si è infatti sacerdoti per se stessi: «Per voi prete e con voi cristiano», diceva sant’Agostino. Preziosa opportunità dunque perché la ricchezza viene certo dalle cose positive – e non sono mancate – ma anche dalla coscienza dei limiti e dalla riflessione sulle proprie fragilità e sulle proprie contraddizioni».

 

Guardando alle varie emergenze della realtà italiana: mafie, legalità, trasparenza, moralità quali sono gli ambiti e le modalità in cui servirebbe un’azione più incisiva della chiesa?

«Nelle Beatitudini, Gesù ci propone quel “fame e sete di giustizia” che è premessa di ogni pienezza e libertà. Ogni epoca storica ha bisogno del Vangelo. Oggi l’eclissi della legalità (per riprendere un’espressione della Cei) rappresenta una delle grandi “povertà” del nostro tempo. C’è una legalità “sostenibile”, malleabile a seconda delle convenienze; ci sono regole che valgono per alcuni ma non per altri; c’è una legge che spesso risponde a logiche di potere e non di giustizia, forte coi deboli e debole coi forti. Come chiesa ci è chiesto allora di essere sentinelle di una giustizia fondata sulla prossimità, sulla corresponsabilità e sui diritti. Dimensione spirituale e impegno civile devono poter coesistere».  

 

Mai nessuno ha ucciso la speranza diceva padre Turoldo. Quali sono le sue speranze e i suoi sogni?

«Sogno la fraternità e la giustizia come “dono di Dio” e come “conquista del nostro impegno”. Sogno persone capaci di convivere senza più violenze, abusi, divisioni, egoismi, sofferenze. La mia speranza è che tutto questo si realizzi se cominciamo già da oggi a costruirlo».

 

Cosa manca alla chiesa, ai sacerdoti per saper andare incontro alle persone?

«Direi nulla. Tanto che sono molti i sacerdoti e le espressioni di chiesa capaci di stare in mezzo alle persone. Per andare incontro agli altri non occorrono del resto che poche cose essenziali: la disponibilità a mettersi nei loro panni, a condividere le loro fragilità e le loro speranze, a vivere la solidarietà come un dono ricevuto».

 

Quali sono le grandi figure di sacerdoti che le sono stati da esempio.

«Penso soprattutto a tre preti-vescovi che mi sono stati guide e maestri: il già citato Michele Pellegrino, Tonino Bello, Anastasio Ballestrero. Non voglio dimenticare però i tanti sacerdoti che hanno affiancato la mia crescita, mi hanno arricchito con la loro umanità, mi sono stati accanto con il loro impegno».

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