Un premio alla storia e ai cittadini europei

Il riconoscimento è stato assegnato all'Ue perché ha saputo superare i conflitti mondiali e ha scelto la strada della democrazia. Una scelta, in questi tempi difficili, da rifare
Unione europea (La Presse)

Che l’Unione europea si vedesse attribuire il premio Nobel per la Pace se lo aspettavano in pochi. Soprattutto oggi, in cui molti paesi dell’Ue – e non solo della zona euro – sono in crisi, in cui non c’è ancora una vera politica estera comune, in cui molti stati tagliano il bilancio per le spese militari, e quindi le operazioni di pacekeeping, sotto l’egida dell’Onu o della Nato.

In realtà il premio del comitato di Oslo è un riconoscimento al percorso dell’Ue, alla svolta storica che l’Europa ha compiuto nel 1950. È anche un premio postumo agli attori di questa svolta, che non ci sono più. Un commentatore ha osservato che in Europa ci si fa la guerra tra fratelli o cugini dai tempi di Cro-Magnon. Fino, appunto, al ’50 del secolo scorso, dopo due guerre assurde e mortifere oltre l’immaginabile. L’intuizione di Jean Monnet ed il coraggio politico di Robert Schuman, ministro francese degli affari esteri, hanno dato vita, in senso letterale, al sogno biblico di trasformare le spade in aratri.

Il colpo di teatro geniale sulla scena della storia che usciva dalle macerie del secondo conflitto mondiale è costituito infatti nella proposta, fatta dal vincitore (la Francia) al vinto (la Germania) di condividere la sovranità su quello era stato per secoli l’oggetto della disputa: il carbone e l’acciaio. Da strumenti di potenza e di morte a strumenti di pace. La prima grande realizzazione della Ceca (Comunità economica per il carbone e l'acciaio) è stata la pace, il trattarsi da pari e da partner tra secolari rivali, prima ancora del primo lingotto d’acciaio comune uscito dalle fonderie.
 
Le Comunità europee, poi l’Ue, sono diventate non solo un insieme regionale pacifico, ma un’organizzazione che ha saputo attirare Paesi che uscivano da esperienze autoritarie: la Grecia, la Spagna e il Portogallo negli anni ottanta, i Paesi d’oltrecortina dopo il crollo del muro di Berlino, ed oggi il paesi balcanici, candidati all’adesione, già ora o potenzialmente in futuro.
 
Questo ha riconosciuto il comitato Nobel, sottolineando come la democrazia sia una condizione necessaria all’appartenenza all’Ue. Forse il messaggio più importante del Nobel all’Eu non è tanto una consolazione di fronte alla drammatica situazione socio-economica, o un incoraggiamento ad essere più attivi nel promuovere la pace fuori dei propri confini (brucia ancora l’inazione dell’UE di fronte all’assedio di Sarajevo e al massacro di Srebrenica, alle porte di casa). Ma un solenne richiamo a come la democrazia e la pace siano un bene prezioso, oggi acquisito in Europa, ma anche fragile. Il populismo e l’autoritarismo sono nel Dna degli europei, come la capacità di pace. Dipende da noi, i 500 milioni di cittadini che hanno ricevuto il premio, come hanno subito sottolineato le istituzioni Ue, non dimenticare la lezione della storia e decidere da che parte orientare il futuro. 

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