Un popolo di colombe
Breve viaggio in un paese che ha molto sofferto e che ha deciso di andare avanti, senza rancore.
Prima di iniziare la visita alla città di Bratislava, con il mio amico Andrej che mi farà da guida, passiamo dal cimitero dove è sepolto Alexandr Dubcek, il leader politico della “primavera di Praga”, la breve stagione del “socialismo dal volto umano” che i carri armati di Mosca repressero senza pietà nel 1968. Dubcek è morto nel 1992, ciononostante fa impressione vedere la sua tomba, semplice, coperta di candele e fiori. Quasi non c’è più spazio. Vuol dire che non è scomparso dai cuori di tanta gente, che ricorda quel tentativo pacifico schiacciato con le armi e condotto in primo piano dal loro connazionale. «Un detto slovacco dice che siamo un popolo di colombe», commenta Andrej, spiegandomi che questa espressione popolare riflette la poca propensione della gente alla violenza. Ed in effetti sia la rivoluzione del 1989 (definita “di velluto”), che la successiva separazione dalla Cekia, che ha permesso finalmente la nascita di una Slovacchia indipendente, avvennero in modo incruento.
«Non ci sono molti conflitti armati nella nostra storia. E nemmeno si è soliti portare rancore», aggiunge la mia guida. Dopo la caduta del comunismo, continua a raccontarmi, un signore si avicinò per strada a suo padre per chiedergli scusa. «Durante il comunismo, per due volte io sono stato responsabile del fatto che lei non potesse terminare l’università», disse quell’uomo al papà di Andrej. «Ma non avevo scelta, se mi fossi rifiutato le autorità avrebbero impedito a mio figlio di proseguire gli studi. Lei vuole che io le chieda scusa anche pubblicamente? Sono disposto a farlo». La risposta di suo padre, conclude il mio amico, fu di non preoccuparsi e di sentirsi tranquillo.
Anche Tonicka (Antonietta) non era capace di essere ostile nei confronti dei poliziotti che continuavano a interrogarla per ore per scoprire chissà quali complotti. Aveva dato inizio a una organizzazione cattolica e per questo “delitto” era finita in carcere. «Dev’essere una vita ben triste – si disse – interpretare sempre il ruolo di cattivi». Prese allora la decisione di raccontare una barzelletta prima di cominciare ogni interrogatorio. Almeno per far sorridere un pochino quei poliziotti. Certamente, Tonicka era una persona un po’ fuori dal comune.
Nel giugno del 1950 la repressione si manifestò con durezza. Ordini religiosi e conventi vennero soppressi. Il fatto ancora indigna le persone che me ne parlano. Eppure «nessuna delle religiose che ho conosciuto e che vide quei momenti mi ha raccontato le cose brutte che sopportarono», mi fa Andrej. «Abbiamo sofferto molto nella storia, ma non abbiamo rancori, andiamo avanti» commenta laconico il mio amico, forse volendo dire che a volte del male nemmeno conviene parlarne. Sí, questo è davvero un popolo di colombe.