Un popolo che non vuole l’aborto
Convocate dalle organizzazioni ProVida dell'Uruguay, centinaia di persone si sono radunate lunedì sera davanti all'Università della Repubblica per una marcia in favore della vita, contro la legge che depenalizza l'aborto, votata martedì scorso alla Camera dei deputati. Molti i giovani presenti, in particolare giovani donne, ma nella folla si scorgevano tutte le età. L'estemporanea assemblea ha ascoltato le parole della portavoce del movimento ProVida, Lorna Marchetti, e di Carlos Lafigliola, consigliere dipartimentale di Montevideo e dirigente della Mesa Coordinatrice per la Vita (una delle organizzazioni più attive e organizzate, che raccoglie la maggior parte delle organizzazioni ProVida), cui hanno risposto con ripetuti applausi. Poi hanno marciato con palloncini, magliette, sciarpe e quant'altro di colore giallo, segno distintivo che hanno scelto per rappresentarli, senza ostentare effigi di partiti o organizzazioni specifiche. Lo hanno fatto pacificamente e allegramente, al canto di «Olé, olé, olé olé, se si attacca la vita non rimane niente di più».
Erano cattolici, ma anche cristiani evangelici e agnostici, e perfino non credenti. Costituiscono uno spaccato di sostenitori di tutti i partiti rappresentati in Parlamento. «Il nostro obiettivo – ha spiegato Lafigliola alla stampa – è difendere il primo dei diritti umani, che è il diritto alla vita, e dimostrare ai parlamentari che esiste un popolo uruguayano che non vuole l'aborto».
Il progetto di legge votato ieri prevede la depenalizzazione dell'aborto fino alle dodici settimane di gestazione, ma allunga questo limite in modo illimitato, se la madre prova che è in uno stato psicofisico che comporta rischi per la propria salute. Ciò vorrebbe dire permettere l'aborto fino alla vigilia del parto. Questo equivale a conferire «alla donna un permesso di abortire liberamente, con requisiti minimi, e questo sta trasformando l'aborto in un atto medico», cosa totalmente inconcepibile secondo Marchetti. Il manifesto letto al termine della marcia in Plaza de Cagancha denuncia che con questa legge si utilizzano i diritti della donna «come scusa per ammazzare legalmente» piccoli uomini e donne, si incrementano le «ferite traumatiche della sindrome post aborto» e si favorisce in modo indiretto la «legalizzazione del "machismo", perché dà semaforo verde all'irresponsabilità dell'uomo mediante la soluzione facile dell'aborto».
«La via non è legalizzare i mali sociali. In questo modo si finisce per educare la società al fatto che l'aborto è buono perché è legale. Siamo contrari a questo crimine», ha detto Lafigliola.
Il documento riporta anche la convinzione che il disegno di legge è stato trattato dal Parlamento in modo «antidemocratico, anticostituzionale, illegale e antiregolamentare». A prova di questa affermazione adducono che invece che sostituire il progetto di legge discusso in Senato con questo, a firma del deputato Iván Posada (Partito indipendente), si è utilizzata la base del testo iniziale «sostituendolo articolo per articolo», per evitare di dover iniziare un nuovo procedimento. Inoltre, il testo è stato votato in Commissione prima di ascoltare le organizzazioni sociali, cosa evidentemente antidemocratica. «Esigiamo dai signori legislatori che, in compimento del mandato popolare, votino a favore della democrazia, a favore dei diritti umani, a favore della libertà, a favore del diritto alla vita e, pertanto, contro questo testo, che attenta al fondamento stesso di una società democratica» specifica ancora il manifesto.
In caso di approvazione da parte della Camera il testo dovrà tornare al Senato per la sua approvazione definitiva, poiché sono stati apposti emendamenti al disegno iniziale. Rimane poi la regolamentazione sul campo che dovrà, tra l'altro, definire come avverrà la delega ad altre istituzioni mediche per quelle che per motivi di obiezione non vorranno praticare aborti al loro interno. Resta da stabilire da chi e come sarà composta la commissione interdisciplinare a cui dovrà rivolgersi la donna che vuole abortire.
Un'inchiesta realizzata dall'azienda Cifra, e diffusa venerdì scorso, segnala che il 52 per cento della popolazione dell'Uruguay è a favore della depenalizzazione dell'aborto, mentre il 34 per cento è contrario e il 14 per cento non si pronuncia. Anche se è impossibile contare gli aborti clandestini, si stima che ogni anno nel Paese si realizzano circa trentamila aborti, a fronte di 47 mila nascite, cosa che influisce anche sul problema demografico, che il governo ha dichiarato di voler affrontare. È questa una delle contraddizioni che il movimento segnala, promettendo battaglia, anche in caso di approvazione della Camera. Ufficialmente dal 2008, una donna che desidera interrompere la gravidanza viene informata su come farlo, sebbene sia illegale, ma quando chiede il celebre Misoprostol (una medicina per le ulcere che provoca l'espulsione del feto), questo non può essere prescritto da un ginecologo, appunto per il suo effetto abortista, e quindi è facile ricorrere a mezzi al margine della legge. Nel 2012, due donne sono morte dopo aver assunto questo farmaco. La legge vigente, dal 1938, penalizza con la prigione (da tre a nove mesi) la donna che abortisce, e anche chi collabora (dai sei ai ventiquattro mesi), e con pene maggiori coloro che effettuano aborti senza il consenso della donna incinta.
Una delle voci contro la depenalizzazione è quella dell'Università Cattolica dell'Uruguay (Ucu) che ha detto: «Il progetto consacra un diritto nel senso più forte del termine: un diritto ad abortire, incoraggiato e promosso dallo Stato, che si doterà dei mezzi umani ed economici per la sua effettuazione concreta e pratica, a carico dell'erario pubblico e, di conseguenza, di tutta la società». Allo stesso tempo, la deputata Verónica Alonso ha presentato martedì scorso, personalmente al presidente della Repubblica, una serie di proposte per incentivare la natalità. Si attendono sviluppi.
Un popolo che non vuole l’aborto
Una marcia per la vita vuole fermare la legge che consente l’interruzione di gravidanza fino a poco prima del parto. Poco limpido l’iter di approvazione, mentre ogni anno a fronte di 47mila nascite, gli aborti nel Paese sono trentamila
Convocate dalle organizzazioni ProVida dell'Uruguay, centinaia di persone si sono radunate lunedì sera davanti all'Università della Repubblica per una marcia in favore della vita, contro la legge che depenalizza l'aborto, votata martedì scorso alla Camera dei deputati. Molti i giovani presenti, in particolare giovani donne, ma nella folla si scorgevano tutte le età. L'estemporanea assemblea ha ascoltato le parole della portavoce del movimento ProVida, Lorna Marchetti, e di Carlos Lafigliola, consigliere dipartimentale di Montevideo e dirigente della Mesa Coordinatrice per la Vita (una delle organizzazioni più attive e organizzate, che raccoglie la maggior parte delle organizzazioni ProVida), cui hanno risposto con ripetuti applausi. Poi hanno marciato con palloncini, magliette, sciarpe e quant'altro di colore giallo, segno distintivo che hanno scelto per rappresentarli, senza ostentare effigi di partiti o organizzazioni specifiche. Lo hanno fatto pacificamente e allegramente, al canto di «Olé, olé, olé olé, se si attacca la vita non rimane niente di più».
Erano cattolici, ma anche cristiani evangelici e agnostici, e perfino non credenti. Costituiscono uno spaccato di sostenitori di tutti i partiti rappresentati in Parlamento. «Il nostro obiettivo – ha spiegato Lafigliola alla stampa – è difendere il primo dei diritti umani, che è il diritto alla vita, e dimostrare ai parlamentari che esiste un popolo uruguayano che non vuole l'aborto».
Il progetto di legge votato ieri prevede la depenalizzazione dell'aborto fino alle dodici settimane di gestazione, ma allunga questo limite in modo illimitato, se la madre prova che è in uno stato psicofisico che comporta rischi per la propria salute. Ciò vorrebbe dire permettere l'aborto fino alla vigilia del parto. Questo equivale a conferire «alla donna un permesso di abortire liberamente, con requisiti minimi, e questo sta trasformando l'aborto in un atto medico», cosa totalmente inconcepibile secondo Marchetti. Il manifesto letto al termine della marcia in Plaza de Cagancha denuncia che con questa legge si utilizzano i diritti della donna «come scusa per ammazzare legalmente» piccoli uomini e donne, si incrementano le «ferite traumatiche della sindrome post aborto» e si favorisce in modo indiretto la «legalizzazione del "machismo", perché dà semaforo verde all'irresponsabilità dell'uomo mediante la soluzione facile dell'aborto».
«La via non è legalizzare i mali sociali. In questo modo si finisce per educare la società al fatto che l'aborto è buono perché è legale. Siamo contrari a questo crimine», ha detto Lafigliola.
Il documento riporta anche la convinzione che il disegno di legge è stato trattato dal Parlamento in modo «antidemocratico, anticostituzionale, illegale e antiregolamentare». A prova di questa affermazione adducono che invece che sostituire il progetto di legge discusso in Senato con questo, a firma del deputato Iván Posada (Partito indipendente), si è utilizzata la base del testo iniziale «sostituendolo articolo per articolo», per evitare di dover iniziare un nuovo procedimento. Inoltre, il testo è stato votato in Commissione prima di ascoltare le organizzazioni sociali, cosa evidentemente antidemocratica. «Esigiamo dai signori legislatori che, in compimento del mandato popolare, votino a favore della democrazia, a favore dei diritti umani, a favore della libertà, a favore del diritto alla vita e, pertanto, contro questo testo, che attenta al fondamento stesso di una società democratica» specifica ancora il manifesto.
In caso di approvazione da parte della Camera il testo dovrà tornare al Senato per la sua approvazione definitiva, poiché sono stati apposti emendamenti al disegno iniziale. Rimane poi la regolamentazione sul campo che dovrà, tra l'altro, definire come avverrà la delega ad altre istituzioni mediche per quelle che per motivi di obiezione non vorranno praticare aborti al loro interno. Resta da stabilire da chi e come sarà composta la commissione interdisciplinare a cui dovrà rivolgersi la donna che vuole abortire.
Un'inchiesta realizzata dall'azienda Cifra, e diffusa venerdì scorso, segnala che il 52 per cento della popolazione dell'Uruguay è a favore della depenalizzazione dell'aborto, mentre il 34 per cento è contrario e il 14 per cento non si pronuncia. Anche se è impossibile contare gli aborti clandestini, si stima che ogni anno nel Paese si realizzano circa trentamila aborti, a fronte di 47 mila nascite, cosa che influisce anche sul problema demografico, che il governo ha dichiarato di voler affrontare. È questa una delle contraddizioni che il movimento segnala, promettendo battaglia, anche in caso di approvazione della Camera. Ufficialmente dal 2008, una donna che desidera interrompere la gravidanza viene informata su come farlo, sebbene sia illegale, ma quando chiede il celebre Misoprostol (una medicina per le ulcere che provoca l'espulsione del feto), questo non può essere prescritto da un ginecologo, appunto per il suo effetto abortista, e quindi è facile ricorrere a mezzi al margine della legge. Nel 2012, due donne sono morte dopo aver assunto questo farmaco. La legge vigente, dal 1938, penalizza con la prigione (da tre a nove mesi) la donna che abortisce, e anche chi collabora (dai sei ai ventiquattro mesi), e con pene maggiori coloro che effettuano aborti senza il consenso della donna incinta.
Una delle voci contro la depenalizzazione è quella dell'Università Cattolica dell'Uruguay (Ucu) che ha detto: «Il progetto consacra un diritto nel senso più forte del termine: un diritto ad abortire, incoraggiato e promosso dallo Stato, che si doterà dei mezzi umani ed economici per la sua effettuazione concreta e pratica, a carico dell'erario pubblico e, di conseguenza, di tutta la società». Allo stesso tempo, la deputata Verónica Alonso ha presentato martedì scorso, personalmente al presidente della Repubblica, una serie di proposte per incentivare la natalità. Si attendono sviluppi.