Un ponte con l’Africa
Sono i tamburi e gli ululati delle festa ad aprire la tappa africana del Progetto Mondo Unito. I canti, le danze scatenate dell'Ovest e i gesti delicati del Sud sono il karibuni, il benvenuto del continente africano ai 140 giovani di 29 nazioni che per dieci giorni si interrogheranno su cultura, valori, tradizioni, progetti di condivisione nel nome della fraternità universale.
Dai pulmini datati che altrove avrebbero avuto come destino la rottamazione, scendono ugandesi, camerunensi, nigeriani, burundesi. Hanno alle spalle anche 48 ore di viaggio, ma la fatica non ha smorzato l’entusiasmo e la gioia dell’incontro non solo tra africani, ma anche con chi per la prima volta tocca questo suolo e ha un colore di pelle differente. I circa 30 dialetti parlati e le innumerevoli tribù presenti che sono la vera carta d’identità di questi under trenta africani, non erigono barriere. Una parola viene tradotta anche in tre o quattro lingue con pazienza. Anche chi non conosce l’inglese non rinuncia a condividere il suo vissuto, i suoi studi, le storie di famiglia. Chi arriva dall’Occidente in questa oasi che è la Mariapoli Piero, il centro dei Focolari nei pressi di Nairobi, non può trincerarsi dietro timidezza o privacy e neppure dietro agli orari di un programma: qui il tempo si riempie di incontri, non si rincorre, non si fissa. È sempre denso di commenti e di gioia.
Dietro ai sorrisi di questi ragazzi ci sono rapporti e statistiche internazionali che parlano di livelli minimi di sopravvivenza come in Madagascar, di conflitti etnici laceranti come quelli vissuti in Sudan o in Congo, di disoccupazione al 70 per cento. E invece qui ci sono futuri medici, avvocati, economisti, qualche artigiano: camminano ore a piedi per risparmiare sui trasporti e investire in libri e c’è qualcuno che sceglie di fare un solo pasto per nutrirsi di scienza, letteratura, diritto, mattoni della loro professione futura. Perché qui la voglia di migliorare, di crescere è forte, creativa, non frenata da ostacoli ed evidenti difficoltà. Si morde la vita. E se «l’Africa non ha da offrire al mondo sviluppo economico rampante o tecnologie di grido, può ricordare il grande valore della comunità e dell’ubunto, questa filosofia che è anche prassi quotidiana dove la persona è, esiste in relazione agli altri». Così si è espresso il professor Justus Mbae, decano della facoltà di filosofia dell’Università cattolica dell’Africa orientale durante una delle relazioni d’inaugurazione di questa “scuola della condivisione”.
«Per la cultura africana è inconcepibile depositare un anziano in una casa di riposo, lui custode della storia e vicino all’incontro ultimo con il sacro è il cuore di una famiglia e di un villaggio. Un bambino non può essere abbandonato davanti ad una tv o parcheggiato ma è l’intera comunità a prendersene cura, come di un ammalato o di chi ha perso un lavoro», ha ribadito il decano. Questo senso della comunità si è esteso ad altri nove Paesi africani attraverso un collegamento web che ha consentito a Burkina Faso, Costa d’Avorio, Nigeria, Madagascar, Burundi di essere presenti anche con loro testimonianze e progetti. I rumori di fondo, una connessione a scatti non hanno impedito l’ascolto attento e la festa del ritrovarsi, perché qui l’intensità della gioia è espressa dall’incessante rullare dei tamburi e dalle danze coinvolgenti.
Ogni giorno di questa settimana, inaugurata ieri, sarà caratterizzato dallo scambio tra le diverse culture presenti, con particolare approfondimento della tradizione e della vita africana. Un’expo consentirà alle diverse nazioni presenti di mostrare i loro popoli e le loro tipicità attraverso oggetti, video, giochi, musiche con il linguaggio tipico dei giovani. Su famiglia, globalizzazione, origini dell’umanità, valore dell’ospitalità ci sarà un confronto con esperti locali e docenti dell’Istituto universitario Sophia. «Il ponte della fraternità, che campeggia sulla scenografia, si attraversa insieme, guardando avanti – mi dice Columbus del Camerun – senza timore delle sofferenze dei nostri popoli, frutto di politiche che nel Nord o nel Sud del mondo hanno dimenticato il valore dell’altro, del fratello». Con il pollice e l’indice della mano fa il segno della L, a ricordarmi che bisogna guardare oltre, «in alto, a Dio, pilastro di questo ponte di fraternità».