Un pomeriggio con Moro e Pasolini

L’appuntamento con una rassegna letteraria, occasione per conoscere due vite non del tutto parallele
Moro Pasolini
Da sinistra Aldo Moro e Pierpaolo Pasolini, Venezia 1964 (Foto di ignoto, Pubblico dominio)

Partecipare ad un pomeriggio letterario è stato per me motivo per scoprire qualcosa di nuovo su due personaggi che hanno toccato gli adolescenti degli anni ’70 del XX secolo. Appartenenti a due ambiti diversi, si sono incontrati nella seconda fase della giornata del 27 gennaio, Giornata della Memoria, due personalità dall’identità opposte: Moro e Pasolini. Quel meeting aveva il medesimo sapore di quella Giornata: non dimenticare.

Moro e Pasolini. Cosa hanno in comune questi personaggi che hanno caratterizzato un certo tempo della nostra storia nazionale? Del primo sembrerebbe di conoscere molto, del secondo solo un nome che nel ricordo si lega a scandali e censure. Eppure, nell’accingersi ad avvicinarli insieme, si coglie il profondo rispetto umano, specie per i più umili, per i più dimenticati che spicca deciso in Pasolini, che grazie al cinema narra l’abbandono e la miseria in cui è costretta a vivere una certa fetta di umanità e quanto di questa fetta di umanità lui sia in grado di percepire il profondo misticismo.

Un’umanità offesa e divorata da chi vuol fare del consumismo la nuova dittatura, capace di estirpare i valori fondamentali della vita, soprattutto del sottoproletariato, e farne sgabello per i propri interessi. A far da contraltare al suo ateismo Il Vangelo secondo Matteo, uno dei suoi maggiori capolavori cinematografici, insieme ad altre opere che esprimono il suo forte senso spirituale.

Moro e Pasolini vivono l’Italia delle stragi. Moro uomo della Dc, partito, in certo senso, bacino della cattolicità, all’epoca quasi un imperativo; nonostante ciò, lui, intimamente cattolico, osservante fino alla fine, anche di fronte ad una morte violenta e ingiusta, riesce ad abbandonarsi alla sua fede. Ebbene quest’uomo comprende che, in un’Italia dove il tessuto sociale è cambiato e nuove idee contrastanti e opposte alle sue emergono, occorre coagulare queste due forze politiche e non farne ragione di scontro. Egli intende raccogliere la sensibilità popolare dell’Italia degli anni ’70 al di là del suo credo politico e religioso. Per questo apre ad un governo di unità nazionale insieme al Pci, il famoso compromesso storico.

Ma cosa in definitiva hanno in comune lo statista e il regista? Sicuramente l’onestà intellettuale con cui raccontarono e interpretarono gli avvenimenti del loro tempo e perciò la capacità di visione del destino dell’umanità; il rispetto per la dignità umana; il desiderio di verità tanto da cogliere le esigenze che si manifestavano connotandole nella loro essenza senza strumentalizzazioni. Li unisce anche l’essere invisi ai loro ambiti di appartenenza: lo statista apre, nonostante le avversità del suo partito e quelle internazionali, a sinistra; il regista è espulso dal Partito comunista per indegnità morale, oltre a riscuotere antipatia nella sinistra extraparlamentare. Due persone scomode, accumunate anche dall’epilogo violento della loro vita, che ancora oggi suscita interrogativi senza risposte.

Il breve scambio con i presenti ha confermato l’interesse per le due figure, non sciogliendo il perenne dubbio: come sarebbe stata l’Italia, il mondo, con loro?

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