Un politico e giornalista santo?

Intervista immaginaria a Igino Giordani di cui si conclude la fase diocesana del processo di beatificazione.

Ebbene sì, lo confessiamo, in più occasioni ci siamo ritrovati in redazione a chiederci: «Cosa scriverebbe Giordani di fronte a questa situazione?». La sua penna arguta, il suo pensiero acuto di politico, giornalista, uomo di Chiesa, padre di famiglia, in periodi non meno tormentati dell’attuale, ci hanno fatto pensare che di cose da dire ne avrebbe ancor oggi.

E ci piace pensare anche che quella sua “santità laica” che si sta via via accertando sia impregnata di amore per l’uomo, per una società rinnovata dal Vangelo, per il bene comune, quasi che il più grande miracolo da chiedergli sia quello di intercedere per questo nostro mondo e per la nostra piccola Italia così travagliata.

Intanto, sulla base di testi e documenti che esprimono il suo esatto  pensiero, abbiamo provato a ipotizzare un’intervista immaginaria che ci aiuta a capire qualche aspetto che rende attuale questo servo di Dio di cui il prossimo 27 settembre, a Rocca di Papa (Roma), verrà chiusa la fase diocesana di beatificazione.

 

Caro Giordani, ci rivolgiamo innanzitutto a lei come nostro amato – e indimenticato – primo direttore di “Città nuova”. Sono tempi difficili, questi, per il giornalismo…

«Il giornalismo è fatto dai giornalisti: ci sono quelli che perseguono la verità, esercitando la libertà della propria coscienza e la missione del proprio stato professionale. Ci sono altri che offrono il proprio servizio all’asta, sono pronti a cambiare bandiera inseguendo il miglior offerente, vivono la propria professione al servizio del potente di turno. I giornalisti di questa categoria sono come dei molluschi. Che Dio ci salvi dalle loro ventose».

 

Ci piacerebbe sapere cosa pensa dell’intreccio fra poteri forti e mezzi di comunicazione.

«I poteri, quando si allontanano dalla propria naturale missione che è quella di cementare in unità il corpo sociale, sono sempre forti e prepotenti. Ne so qualcosa io, che divenni giornalista mentre andava dilagando l’ideologia fascista. Ricordo pure che in qualche occasione, da direttore di giornali, mi impuntai, non accettando di fare il “direttore diretto”. Per questa ragione, per esempio, mi dimisi dalla direzione de Il Popolo. Non soffrivo le telefonate di qualche personaggio influente che voleva convincermi di scrivere a favore di qualcuno. Vede, il giornalista cristiano sa che condivide la sorte di Cristo e quindi sa anche che più che applausi e ricompense, gli verranno i patimenti e gli abbandoni. È un ripetere la passione di Cristo, in una forma eroica appropriata alla Chiesa militante».

 

Potere e strapotere: le sembra tutto compromesso in questo difficile momento politico?

«La mia generazione di politici non ha mica vissuto stagioni tranquille! Qualche giorno prima del rapimento di Matteotti, eravamo io e Sturzo a passeggiare su quel Lungotevere. Gli articoli che scrivevo sui giornali e i libri che pubblicavo erano sempre stroncati dalla censura fascista. E il malcostume in politica l’ho potuto osservare anche quando misi piede in Parlamento, e trovai qualche compagno di partito che non condivideva che portassi le mie scelte cristiane fra i deputati. Non vi dico poi le insolenze che mi giunsero per le mie proposte in merito alla legge sull’obiezione di coscienza, all’Intesa interparlamentare per la pace… Ma la politica è fatta per il popolo e non il popolo per la politica. Prima la morale, prima l’uomo… La politica non deve diventare padrona, non farsi abuso. Qui è la sua funzione e la sua dignità: d’essere servizio sociale, carità in atto. Osservi che dicevo queste cose già nel 1945, sulle ceneri di una civiltà sconvolta da un conflitto mondiale».

 

Fra i problemi politici accesi in questo scorcio di inizio del XXI secolo, quello dell’immigrazione è fra i più dibattuti.

«I cristiani non sono quelli che per amare gente d’altra terra han bisogno di denigrare e odiare il proprio Paese, né siamo quelli che per esaltare la propria patria han bisogno d’umiliare quella d’altri. Non occorre per amare la famiglia altrui vilipendere la propria, né viceversa. Con questo sentimento, eleviamo e allarghiamo l’amore patrio all’amore dell’umanità. Questa è l’identità del cristiano. Egli sa bene che non è ammissibile che uno abbia sovrabbondanza di vesti e di alloggi e l’altro vada nudo e dorma in una grotta. Una società che tollera disuguaglianze simili, che distribuisce così iniquamente i suoi beni, è una società in peccato mortale».

 

 

Si chiude il processo diocesano

 

Qualche domanda all’avvocato Carlo Fusco, postulatore nella causa di beatificazione di Igino Giordani.

 

Cosa vuol dire che si chiude la fase diocesana di una beatificazione?

«Significa che il tribunale competente, istituito dal vescovo della diocesi nella quale il Servo di Dio è morto, ha accertato, attraverso i dati raccolti, fatti concernenti la vita e le virtù eroiche della persona. Nel nostro caso il processo, aperto nel 2004, si è avvalso di testimoni diretti, dal momento che la causa è iniziata entro trent’anni dalla morte di Giordani, altrimenti si sarebbe celebrata una causa storica, cioè basata soprattutto sulla ricerca documentale e bibliografica».

 

Quanto dura normalmente la prima tappa, quella diocesana?

«In alcune cause dura anche 30, 40 anni e più; la nostra è stata relativamente veloce, anche perché i periti storici si sono avvalsi della collaborazione del Centro Igino Giordani, che già da più di vent’anni studia e cataloga l’abbondantissimo materiale esistente».

 

Adesso cosa succederà?

«Comincia la fase apostolica presso la Congregazione per le Cause dei Santi, in Vaticano, dove si nominerà un relatore il quale condurrà l’indagine e gli studi per l’ulteriore valutazione richiesta dalla legge».

 

E il miracolo?

«A parte si avvia il processo super miro, cioè sul miracolo, per verificare se vi sia stato un fatto prodigioso, in genere una guarigione, dovuto all’intercessione del Servo di Dio. Il miracolo è necessario per la beatificazione, cioè perché il Servo di Dio possa essere venerato in una chiesa particolare. Poi si andrà avanti con la canonizzazione, ed il beato potrà essere proclamato santo».

 

C’è già qualche miracolo di Giordani?

«Possiamo dire di avere un’abbondanza di grazie attribuibili a Giordani, come guarigioni, secondo me, inspiegabili. Ovviamente aspettiamo il giudizio della Chiesa. So inoltre di tante coppie che attribuiscono all’intervento di Giordani gravidanze prima impossibili o interventi sui bambini… da buon padre qual era».

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