Un po’ di Vangelo, per favore!

Proponiamo l’opinione di uno dei principali teologi italiani sull'attualizzazione delle parole evangeliche in un contesto di guerra come quello odierno
Vangelo

Putin ha avuto la spudoratezza, e il papa ha il coraggio, di citare il Vangelo. Coraggio, perché tale è il clima che si è creato a proposito della guerra in Ucraina, promosso intenzionalmente dalla propaganda di ambedue le parti, che ci vuole del coraggio per citare il Vangelo. Sono rare le voci degli stessi cristiani, che osino portarlo in campo.

A voler giustificare, in qualche modo, la costante censura delle parole di Gesù sull’amore, si potrebbe dire che, effettivamente, non è corretto schiacciare su un detto evangelico privo di sfumature, come è in genere il linguaggio di Gesù e degli evangelisti, la complessità delle situazioni e dei valori in gioco. Le circostanze, inoltre, nelle quali quei detti sono stati proclamati, non sono le stesse sulle quali la coscienza cristiana è chiamata, oggi, a interrogarsi. Non sull’aggressione all’Ucraina, decisa dal governo e dal Parlamento della Russia, di cui è palese l’iniquità e doverosa la condanna, ma sì sulla risposta armata dell’Ucraina, sostenuta dalla fornitura di armamenti da parte dei paesi della Nato, sulla quale è doveroso tornare ad interrogarsi, ogni giorno di nuovo, man mano che la guerra continua. Sarebbe questione, infatti, di ordinaria politica, se non fosse che ne conseguono migliaia e diecine di migliaia di morti e che non c’è ancora nessuna prospettiva concreta (al di là delle menzogne ufficiali) sulla fine di questa tragedia.

In questa situazione non c’è una persona onesta, sia di fede cristiana, sia di altre o di nessuna fede, che sia esonerata dal porre la sua coscienza di fronte al comandamento “Non uccidere!”, per domandarsi se le ragioni addotte per dispensarsi da questa fondamentale obbedienza siano valide in se stesse e siano così robuste da resistere all’assalto delle lacrime delle vittime, dei morti e dei vivi, che ci interrogano: “Perché fate così?”. Chi poi professa e vive la fede cristiana non può tralasciare di prendersi in mano i Vangeli e gli scritti degli Apostoli e porre la propria coscienza di fede a confronto con quanto vi sta scritto.

Se di ogni singolo detto si può pensare che non sia applicabile alla situazione presente, sulla linea di fondo di Gesù, del suo insegnamento e della sua vita vissuta, non ci sono dubbi: San Paolo la sintetizza in pochissime parole: «Non rendete a nessuno male per male … Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene». Gesù non è affatto un rassegnato di fronte alle immani ingiustizie che si perpetrano nel mondo: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada». È la spada della verità, dalla quale aveva cercato di mettere in guardia Pilato nel suo estremo dialogo con il governatore, e che secondo la fantastica visione dell’Apocalisse, esce dalla sua bocca a tagliare di netto la menzogna dalla verità: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa» (Mt 10, 34-35).

Mentre stavo scrivendo queste righe, ecco scoppiare la polemica sul progetto di papa Francesco di far portare la croce, insieme, a una famiglia ucraina e a una russa, durante la Via Crucis al Colosseo. A questo punto, veramente, non restano più vie alternative: Vangelo sì o Vangelo no! Come sarebbe possibile, mettendosi davanti agli occhi la scena della cattura di Gesù, del processo, della condanna e del suo mettersi in cammino verso il Calvario, ciò che si fa nella Via Crucis, e distogliere la propria meditazione da quel suo «Rimetti la tua spada al suo posto» (Mt 26, 52), imposto da Gesù, mentre gli stavano legando le mani, a chi intendeva difenderlo. La spada dell’odio non dovrebbe essere riposta nel fodero neanche meditando la Via Crucis e pregando!?

Non giudico i cristiani ucraini schiacciati sotto le bombe dei russi, di cui capisco perfettamente il turbamento di fronte al precetto evangelico dell’amore, da sostituire al precetto antico «Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico» (Mt 5, 43). Ma pretendere che a Roma alcuni cristiani russi e alcuni cristiani ucraini, incolpevoli gli uni e gli altri, non debbano pregare insieme è un’ulteriore follia, che si aggiunge alla follia della guerra.

Ricordo il buon senso della gente che, durante la guerra mondiale, mentre si subivano le efferatezze dei tedeschi fanatici delle SS, educati alla violenza fin da bambini, che sapeva ben distinguere da loro i soldati regolari dell’esercito, costretti a combattere loro malgrado. Ricordo, a guerra finita, la mia meraviglia di ragazzino dodicenne quando vedevo la gente porgere, di soppiatto, la fetta di pane o una mela ai prigionieri tedeschi messi ai lavori forzati, a Fiume, nello sgombero delle strade dalle macerie dei bombardamenti. Anche allora, però, chi lo faceva correva il rischio di essere odiato come nazista. La guerra, vista nel suo ripetersi, è anche noiosa: sempre le stesse cose! Ma la maggioranza della gente aveva sempre saputo ben distinguere fra nazisti e tedeschi. Evidentemente non lo sanno fare, oggi a Pisa, i compagni di una liceale russa, che i lunedì torna a scuola piena d’angoscia, perché teme di essere presa di mira, odiata e insultata.

Uno degli effetti più distruttivi di questa guerra insana è il montare dell’odio cieco, incapace di quel rispetto e compassione che anche i russi dissidenti e i soldatini mandati da Putin al massacro in Ucraina si meritano. L’odio, si sa, sfonda ogni logica ed è così che si pretenderebbe che il papa facesse il papa, ma non da cristiano, e che i cristiani pregassero il loro Cristo, ma rinnegando il suo Vangelo.

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