Un po’ di sollievo per Dilma

Si allontana lo spettro della destituzione della presidente del Brasile, oppure se ne prolunga l’agonia? I continui mutamenti di scenario danno ragione a chi definisce la situazione come una “crisi bipolare”, alludendo alla malattia che alterna stati di euforia a momenti di depressione
Dilma

Questo martedì l’intervento della Corte Suprema ha impedito che andasse in porto una manovra di dubbia legittimità per aprire la strada alla destituzione di Dilma Rousseff. La legge attribuisce al presidente della Camera dei Deputati, Educardo Cunha, la possibilità di dare inizio al processo accogliendo i solleciti di natura politica, naturalmente se hanno una base giuridica. Finora 11 dei 14 solleciti presentati sono stati scartati per mancanza di detto requisito.

 

Cunha, insieme alle opposizioni, aveva elaborato una manovra elusiva: il suo rifiuto sarebbe stato ripreso dal plenum dei deputati e votato a maggioranza semplice. Ciò gli avrebbe evitato di fungere da autore della destituzione della presidente. L’intervento della Corte Suprema ha però messo in chiaro che tale procedimento avrebbe violato la legge la quale attribuisce in forma esclusiva al presidente della Camera il potere di accogliere o archiviare la proposta di destituzione. Restano nel cassetto ancora tre solleciti sui quali Cunha dovrà decidere la prossima settimana.

 

Il tempo non gioca a suo favore, dato che nel frattempo tra le file della maggioranza di governo è partita la richiesta di destituzione nei suoi confronti, dato che Cunha non ha saputo spiegare l’esistenza di conti bancari svizzeri, a nome suo e di familiari prossimi, nei quali sono depositati cinque milioni di dollari.

 

Lo scontro con Cunha ha risvolti personali, dato che questi appartiene al Pmdb, partito alleato del Pt di Dilma, forse il più solido compagno di viaggio in questo momento. Poco più di una settimana fa la presidente, oltre a ridurre da 39 a 31 i ministeri, in ossequio all’austerità con la quale si pretende di affrontare la crisi economica nella quale versa il Brasile, ha modificato l’assetto dell’Esecutivo assegnando al Pmdb sette dicasteri, proprio per blindare la governabilità del Paese.

 

Una patto durato peró un sospiro, dato che poco dopo la Corte dei Conti ha deciso di bocciare il bilancio 2014 del Governo nel quale sono state riscontrate irregolarità. Una decisione che ha versato nuova benzina sul fuoco del movimento che pretende la destituzione di Dilma. Non è secondario segnalare che si tratta della prima volta in ottant’anni che la Corte dei Conti boccia il bilancio di un governo sulla base di irregolarità commesse, in realtà, sistematicamente da tutti coloro che hanno esercitato il potere esecutivo nel Paese: cioè far slittare alcune partite di spesa da un esercizio all’altro per migliorare i conti fiscali.

 

Ma come mai un esponente di un partito alleato, peraltro gravemente indiziato di corruzione, pretende di erigersi a censore di questo governo e come mai una Corte dei Conti tollerante per ottant’anni improvvisamente diventa intransigente? Come mai industriali che per anni hanno pagato bustarelle oggi si pentono in un improvviso rigurgito di senso etico?

 

La spiegazione va forse ricercata nello scontro tra interessi contrapposti che oggi si verifica in un Brasile in recessione, nel quale è lievitata una spesa pubblica incontenibile e piena di inefficienze. Le abbondanti entrate garantite durante gli ultimi anni da petrolio e prodotti agricoli si sono ridotte notevolmente, mentre il contraccolpo dell’economia cinese – il partner economico più dinamico – si fa sentire in tutta la regione sudamericana.

 

Settori industriali e finanziari non sono disponibili a veder ridursi i loro margini di utile. Finché esistevano i fondi per sostenere le politiche sociali del Governo e allo stesso tempo consentire al sistema produttivo ed economico di avanzare senza sostanziali mutamenti, i poteri economici hanno accettato (o tollerato) lo schema che ha enfatizzato la dimensione redistributiva. Ma oggi, in fase recessiva, continuare così significherebbe per loro pagare parte del conto che presentano le politiche sociali.

 

Il Pt di Dilma e dell’ex presidente Inacio Lula da Silva paga forse il prezzo del suo eccessivo pragmatismo: aver preferito l’esercizio del potere, senza azzardarsi troppo a modificare lo schema di corruzione dilagante. Corruzione che oggi la giustizia sta investigando, facendo cadere una dopo l’altra le teste dei suoi maggiori esponenti. L’esaurimento delle risorse dell’erario pubblico pare abbia limitato fortemente anche il suo potere.

 

Oggi meno del dieci per cento dell’opinione pubblica sostiene la presidente Rousseff, che paga il prezzo di applicare i tagli alla spesa che ha negato durante la sua campagna elettorale ed anche l’impopolarità di non aver previsto l’onda lunga degli scandali per corruzione che oggi letteralmente la cinge di assedio.

 

Potrà venirne fuori? È possibile, perché l’alternativa è l’ingovernabilità di questo gigante. Dilma dovrà scegliere tra negoziare con gli interessi industriali ed economici, che hanno mostrato la forza che hanno, o migliorare la qualità della democrazia brasiliana senza rinunciare ai valori di giustizia sociale di cui il Pt pretende di essere portatore.

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