Un piccolo grande genio
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Quante volte è stata esposta l’arte di fine Ottocento e quante rassegne si sono tenute e si tengono un po’ ovunque. Ma questa, al romano Chiostro del Bramante sino al 21 febbraio 2016 (catalogo Skira), è davvero qualcosa di unico. Perché James Tissot, nato francese ma vissuto e morto britannico nel 1902, è diverso da tutti i contemporanei, da Renoir come da Boldini, da Toulouse-Lautrec come da Monet e amici.
Tissot ama il suo tempo e l’alta borghesia. È un autentico cantore dell’età vittoriana, di una vita tra rivoluzione industriale e colonialismo, aperta sul futuro e tuttavia in continuità con la tradizione. Tanto che la pittura del Nostro si muove tra istanze impressioniste e preraffaellite, ma soprattutto è sé stessa. Tissot è un vero maestro del colore. Nelle ottanta opere esposte al Chiostro in un allestimento equilibrato e ordinato, molto coinvolgente dove le tele si possono quasi “toccare”, ciò risulta con straordinaria evidenza. Tissot è innamorato della luce.
La tela del 1885 “La primavera” ricorda alla lontana il celebre Déjeuner di Manet (a sua volta memore del Concerto di Tiziano), con le due ragazze sedute sull’erba. Ma l’originalità di Tissot sta nella poesia del colore, dato a tocchi luminosissimi: si “sente” lo scialle rosso abbandonato a terra, i fiori di melo uno per uno pennellati con amore, si “tocca” l’ora di un incantamento giovanile, bello appunto come la primavera. Un’altra volta, nella tela dell’Imperatrice Eugenia col figlio principe nel Parco di Camden Place (1874) è l’autunno a cantare nel tappeto di foglie appassite come i volti malinconici dei protagonisti. Un autunno del tempo e dell’anima, ma così dolce nella tristezza come un addio.
Tissot non è solo poeta di atmosfere e di nature, ma di sentimenti. Essi però sono velati, come se l’artista si mostrasse pudico di fronte a loro. E’ il caso de “La convalescente” (1882): la ragazza circondata da coperte e cuscini dipinti con tocchi ombrosi, morbidissimi: “velati”, appunto, a descrivere il volto perso nel vuoto. Altre volte invece il colore squilla alto, immagine di vita: la Signora con giacca rossa e la gonna nera immensa sta dentro casa e pensa a chissà cosa. Tissot non ama indagare i pensieri, gli basta accendere i rossi e i neri a dire in questo modo il carattere giovanile, sbarazzino e in fondo un po’ vacuo della donna.
La donna: ecco l’assoluta protagonista del mondo borghese, la nuova “dea laica”. Giovane assorta col binocolo, è La figlia del capitano (1873), osservata dal padre e da un biondo marinaio entro la luce nebbiosa inglese. È La Viaggiatrice (1885) che scende la scaletta della nave,sollevandosi la veste di seta, tra la ressa del porto: apparizione pensosa che aspetta di venire scoperta. E’ la ragazza che ci guarda ridente nella Colazione sull’erba tra colori che lievitano densi alla luce. Ma è sopra tutto “La più bella donna di Parigi” (1885), radiosamente al centro di un concerto di signori in frack, femme fatale priva di malizia, fresca della sua giovinezza.
Perché Tissot è alla fine un poeta della vita.
E, strano a dirsi, un autore capace di profondità spirituali. La serie di tele col tema del Figliol prodigo attualizza l’antico fatto evangelico trasportandolo nel mondo borghese, accendendolo di cupezze coloristiche e luci dure, che mancano nelle sfumate, vaporose tele del “bel mondo”.
Tissot ama esplorare la vita, ovunque essa sia. Nella giovinezza e nella mondanità ed anche nella sofferenza redenta.
Per questo è un grande, tutto da scoprire. Da non perdere.