Un pensiero critico sulla guerra, dialogo con Franco Dinelli

Le questioni aperte sulla guerra e la pace nel dialogo con Franco Dinelli, ricercatore scientifico, presidente del Centro Studi Economico-Sociali di Pax Christi
Guerra e pace. Foto: AP/LaPresse

Il movimento Pax Christi è una realtà diffusa a livello internazionale con una storica presenza in Italia, strettamente legata alla figura controcorrente di uno dei sui presidenti, il vescovo di Molfetta, don Tonino Bello, scomparso nel lontano 1993.

Cerchiamo di dare uno sguardo alla realtà attuale intervistando Franco Dinelli, presidente del Centro Studi di Pax Christi ericercatore scientifico presso il Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa e precisamente nell’Istituto specializzato negli ambiti dell’ottica, della fotonica, della fisica atomica e molecolare.

Cosa è il Centro Studi di Pax Christi e a quale esigenza risponde?
Il Centro Studi Economico-Sociali per la Pace di Pax Christi Italia nasce da una idea di monsignor Bettazzi. Sorto nel 1991, esso si fondava su persone di alto spessore culturale, che organizzava giornate di studio presso la Casa per la Pace a Firenze durante l’estate. Venivano invitati esperti in grado di fornire spunti per alimentare le discussioni fra i partecipanti e gli atti del convegno venivano poi pubblicati. Io sono stato nominato presidente nel 2022 per rilanciare questo ramo del movimento, vocato alla formazione degli aderenti. La impostazione che ho dato deriva dalla mia formazione di ricercatore scientifico.

Che tipo di metodo stai seguendo?
Una volta definiti i temi, che il movimento ritiene opportuno approfondire, si procede con il creare gruppi di lavoro formati da esperti che possano produrre materiali di livello accademico. Questi materiali devono poi essere divulgati in forma accessibile ai vari fruitori, dagli attivisti agli insegnanti o giovani studenti.

Le tematiche individuate sono i cavalli di battaglia del nostro movimento, a partire dalla nonviolenza attiva al bando delle armi nucleari. In questa fase iniziale, è nata anche la necessità di aggiungere al nome la parola “Giuridico”. Stiamo ad esempio traducendo un interessante testo di James Paul sul funzionamento del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, a partire dalla nascita per capire i suoi pregi e soprattutto limiti.

Quali sono i rapporti del Centro Studi con il livello internazionale del movimento Pax Christi?
La mia esperienza passata nel board di Pax Christi International e quella attuale nei relativi gruppi di lavoro è fondamentale per mantenere uno spirito internazionale. Fra le iniziative già in atto, ricordo la “Scuola di Innovazione Sociale per la Pace e lo Sviluppo della Cooperazione Internazionale”, realizzata con la Pontificia Università Lateranense che quest’anno giunge alla seconda edizione.

Non ti sembra che esista una contraddizione evidente dai dati dei sondaggi sugli italiani che li descrivono in prevalenza contrari alla guerra e la realtà di fatto che vede una vasta maggioranza parlamentare schierata a favore della posizione interventista espressa in continuità da Draghi a Meloni?
Confesso che non nutro molta fiducia nei sondaggi. Sono secondo me condizionati da alcuni fattori spesso trascurati: la formulazione delle domande e come vengono proposte agli intervistati; la sostanziale abitudine dei cittadini a rispondere a domande nei vari social in modo superficiale senza spesso avere una cognizione chiara del tema affrontato. Ad esempio, tempo fa i parlamentari firmatari di un appello al nostro governo per la firma del Trattato di bando delle armi nucleari hanno ritrattato sostenendo di aver firmato senza aver capito esattamente di cosa si trattasse. Detto questo il segnale comunque c’è ed è forte. La maggioranza degli italiani ha percepito che non siamo neutrali ma di fatto schierati con una parte, ed è contraria a fornire armi che alimentano la guerra. Il segnale della politica è di tutt’altro tenore: schierarsi con l’aggredito e inviare armi sono l’unica soluzione per giungere alla pace, con rarissime eccezioni.

Non è questo, invece, il segnale di una diversa egemonia culturale che non vede alternative a questa linea conforme alla nostra appartenenza al blocco occidentale democratico?
Devo dire che preoccupa, invece, lo scollamento fra eletti ed elettori, una costante da alcuni anni oramai, ma soprattutto la mancanza di un dibattito parlamentare serio che fornisca tutti gli elementi per una analisi informata ai propri cittadini. Ad esempio, riguardo le cause della guerra sono state rimosse tutte le dichiarazioni ante 24 febbraio 2022, in cui le azioni aggressive della Nato erano viste dagli stessi politici come foriere di disgrazie, compresa la stessa Meloni. A questo si aggiungono i media che hanno scordato gli articoli che narravano la guerra civile in Donbass e tutti i crimini che si sono perpetrati in quel contesto. Adesso ripetono come un disco rotto quello che afferma il governo. Per cui è di fatto impedito ad ogni cittadino di formarsi una opinione informata su questi ed altri eventi. E ciò si può certamente descrivere come un profondo deficit democratico.

La guerra giusta può essere un concetto superato e strumentalizzato ma resta sempre viva la categoria della giustificazione dell’uso della forza per la difesa
Il concetto di guerra giusta rimane ancora molto saldo nel bagaglio culturale dei cattolici. Almeno questo è quello che io riscontro nei miei frequenti colloqui con amici e conoscenti. L’idea che il diritto di difesa sia una cosa sacrosanta è forte e dirò che lo è anche a mio avviso. Il problema è che, come dicevo prima, non avendo una informazione corretta sulle cause dei conflitti e sulla loro evoluzione un cittadino può solo formulare risposte di principio che si basano su quello che gli viene narrato giorno dopo giorno. Non viene ad esempio mai raccontata la esperienza di persone come in Sud Sudan che adesso si rammaricano della guerra civile da cui hanno ottenuto l’indipendenza, perché hanno capito che dalla violenza non può mai nascere la pace.

Nel caso di Putin si fa il paragone con la Germania nazista che è tuttora l’esempio che giustifica la risposta armata che fu adottata anche dai partigiani cristiani. Come rispondi a chi domanda la tua valutazione della lotta armata contro Hitler?
La hitlerizzazione dei “nemici” è un fenomeno oramai usuale. Gli esempi non mancano nel recente passato, come Gheddafi in Libia. È una tecnica utile a creare un clima che non prevede altro che l’intervento armato come unica soluzione. Si deve disumanizzare il nemico per questo, spesso con prove che si riveleranno false.

Putin, che fra l’altro non può in nessun modo essere paragonato a Hitler quanto a efferatezza, è un uomo politico la cui parabola andrebbe meglio conosciuta, a partire dall’iniziale appoggio di settori statunitensi che facevano affari con Eltsin e che con lui, suo delfino, prevedevano di continuare.

In questa narrazione parziale degli eventi, che molti studiosi chiamano propaganda, la storia viene continuamente riscritta e gli uditori spesso dimostrano di possedere scarsa memoria. Ad esempio, mi fa sempre molta impressione quando si nega il ruolo della Armata rossa nella liberazione di Auschwitz e nella sconfitta del nazismo.

Come si può reagire a tale deriva?
Credo che sia necessario tornare a conoscere e insegnare correttamente la storia. Purtroppo, torniamo al problema dei media generalisti che a fronte di trasmissioni meritevoli come “Passato e Presente”, che peraltro hanno un pubblico già educato e non numeroso, non fa alcuno sforzo di proporre nelle prime serate trasmissioni di approfondimento con esperti del settore.

Pax Christi, a cominciare dal quasi centenario vescovo emerito Luigi Bettazzi è l’unica espressione organizzata in campo cattolico che giunge a contestare l’adesione dell’Italia alla Nato. Ma quale alternativa è realisticamente praticabile?
Fin dalla sua nascita la Nato non è stata vista di buon occhio anche da settori del mondo cattolico, come Giuseppe Dossetti. Il motivo è semplice per chi è libero da condizionamenti: essa ha subito minato la credibilità dell’Onu e le possibilità già flebili di poter rappresentare una imparziale autorità mondiale. In questo Bettazzi non è certamente isolato ma incardinato in una tradizione seppur minoritaria. Adesso egli peraltro contesta la permanenza dell’Italia nella Nato che non ha più ragion d’essere dalla caduta dell’Urss.

Ripeto, quali sono le alternative possibili senza essere velleitari?
Faccio presente che, pur essendo contrario alla guerra, lo stesso Bettazzi intravede nella nascita di un esercito europeo la possibilità di una emancipazione effettiva dell’Europa dagli Usa. Una Europa più coesa e con una politica estera unitaria potrebbe essere funzionale alla nascita di una governance multipolare. Un mondo in cui i Paesi più avanzati e con più possibilità economiche possano aiutare quelli meno avanzati senza pretendere in cambio un controllo dei Paesi stessi. Questo è quanto auspicava Giovanni XXIII nella Pacem in Terris, quando l’indipendenza di molte colonie generava speranze, non ancora mantenute. Questa è grosso modo la mia posizione in merito.

Cosa fare davanti ad una politica Ue che sembra non ascoltare i numerosi appelli a promuovere una decisa azione di negoziato, distinta e autonoma dalla strategia a trazione anglo americana?
Io credo assolutamente nella forza del dialogo e nel confronto. Tutto ciò che nasce da un pensiero unico è nemico della democrazia e del progresso umano. È una posizione che ho maturato nel tempo. Anni fa ero anch’io convinto che se il mio pensiero fosse stato adottato dalla maggioranza avrebbe contribuito a migliorare le cose. Poi l’incontro con alcuni maestri di vita e la riflessione sulle mie esperienze personali mi ha portato a maturare le posizioni attuali. Non vedo perciò altri mezzi che una educazione al pluralismo che parta dal basso, dalle scuole fino alle parrocchie ed ad ogni luogo di aggregazione. È solo così che possiamo arrivare all’accettazione dell’altro, del rispetto reciproco e quindi della pace vera.

È un lungo cammino da realizzare. In che modo si dovrebbe procedere?
Dobbiamo riformare i media a partire dalla TV che per sua natura, oltre a causa del controllo dei gruppi di potere dominanti, semplifica il messaggio e determina una povertà di pensiero. La propaganda di guerra tramite immagini scelte è troppo forte emotivamente affinché i cittadini che vivono in contesti culturali ristretti possano utilizzare la ragione e ricercare una informazione alternativa che è presente su internet o giornali di nicchia. Questo ovviamente andrebbe condotto a livello europeo, poiché nessun Paese attualmente ne è esente e chi pone dubbi viene demonizzato ed emarginato.

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