Un Pd in fase costituente
Il Partito democratico ha eletto il suo segretario nazionale con il metodo delle primarie, aperte anche ai non iscritti, nella giornata di domenica 3 marzo 2019.
La partecipazione di oltre un milione e 700 mila persone ai gazebo non era affatto scontata. Se ne aspettavano meno di un milione. Rappresenta, di per sé, un primo punto a favore di Nicola Zingaretti che, nel discorso di investitura, citando Aldo Moro, ha evidenziato la necessità di aprire una nuova fase costituente con la promozione di nuovi circoli nei territori e forum tematici aperti al mondo associativo e della cultura.
Ha parlato di unità usando un linguaggio inclusivo, secondo un metodo che ha già sperimentato nell’elezione a presidente della Regione Lazio. Ruolo istituzionale che continuerà a ricoprire, accanto a quello “paterno”, che Romano Prodi ha indicato come necessario per un leader dell’area di centro sinistra.
Evidente la discontinuità con Matteo Renzi, segretario di un partito che ha raggiunto il mimino storico nelle elezioni politiche del marzo 2018. Ma non si comprende ancora a quale punto sia arrivata l’analisi di quella storica sconfitta. Non siamo, ad esempio, davanti alla rottura avvenuta tra i laburisti britannici con l’elezione di Corbin, ma anche lontani da tentazioni neocentriste alla Macron che sembrano attirare alcuni esponenti dello stesso Pd.
Zingaretti, che ha raggiunto quasi il 70% dei consensi, non parla assolutamente di rottamazione ma promuove, con il suo vice in Regione Lazio, Massimo Smeriglio, una “piazza grande” capace di esprimere sensibilità più marcatamente di sinistra, assieme ad alleanze con il movimento “Italia in comune” di alcuni sindaci (Pizzarotti e altri) che hanno, a loro volta, stretto accordi con Verdi e radicali. L’impronta prodiana dell’”Unione” si riscontra anche nell’attenzione e sostegno che il neo segretario del Pd ha manifestato per realtà ancora in formazione come Democrazia solidale (Demos) dell’ex vice ministro Mario Giro.
Insomma, come hanno dichiarato in molti, a cominciare dall’ex premier Enrico Letta, anche chi attualmente non si riconosce nel Pd è andato a votare per sostenere la linea di un politico cresciuto nell’ultimo tratto di quel partito comunista romano che sapeva tenere assieme intellettuali, artisti e radicamento popolare. Ora, in una fase storica completamente diversa, le sezioni, come ha detto Zingaretti, sono rimaste chiuse e abbandonate consegnando le periferie della Capitale al M5S, alla destra, oltre che all’astensionismo di una sinistra che non trova casa.
Le primarie del Pd si sono svolte a ridosso della grande manifestazione antirazzista del 2 marzo che ha espresso, a Milano, l’orgoglio di una opposizione radicale alla linea del governo a forte impronta leghista. Una voglia di rappresentanza che, attualmente, anche in vista delle prossime elezioni europee di maggio, non trova offerte strutturate a sinistra del Pd.
In questo momento, ad esempio, Zingaretti è andato a Milano, ma ha avuto anche il sostegno dell’ex ministro degli interni Minniti, che non è certo amato dalla gente di quella piazza.
La fase costituente del partito democratico permetterà di comprendere, su tanti argomenti, la linea di una forza politica che ha davanti a sé, come ha detto il neosegretario, una destra “rocciosa” che usa un linguaggio semplice e chiaro, anche se ruvido. Molto dipenderà dalla capacità di attrarre nuovi iscritti e simpatizzanti, per una partecipazione reale oltre il momento delle primarie.